Novembre è iniziato con una dolcezza inaspettata. Dopo un ottobre tanto piovoso e avvolto in una nebbia fitta, la luce dell’autunno finalmente riscalda le spalle e i pensieri.
Nei miei campi, lontana dal lavoro e dalle altre persone, posso lasciar andare ogni cautela. Le protezioni restano in tasca, le mani si sporcano, con la terra e col bastone di Urano, ma le dita stropicciano gli occhi ancora stanchi senza pensieri, libere dal lavaggio compulsivo necessario al mio lavorare al pubblico. Colgo gli ultimissimi grappoli d’uva dai tralci inselvatichiti, li gusto chicco dopo chicco senza curarmi dei microrganismi presenti sulle bucce e sulle mie dita, che ho sempre considerato parte di me e della natura in cui sono immersa, germi e batteri strettamente connessi e indispensabili alla vita e che non ho mai considerato miei nemici. Che pena ora, in altri contesti, doversene preoccupare così tanto.
La natura selvatica è ancora tremendamente generosa, nonostante il passaggio di ognissanti abbia dato inizio alla vera discesa verso il buio invernale. Sono tante le erbe che ancora crescono con vigore e chiamano raccolti abbondanti, dall’erigero alla cicerbita, dal cardo mariano ai rapini selvatici, dalla borsa di pastore all’ortica.
Certo meno abbondanti sono i fiori. Ad allietare la vista, ma bisogna avvicinarsi un po’, provvede ancora la speronella, che mi sorprendo sempre di vedere ancora in forze a tingere di viola i bordi delle strade così tanto tempo dopo la fine dell’estate, a discapito della sua apparente delicatezza; la silene bianca, con una fioritura più piena e bella della primaverile; alcuni cardi, che ancora si prodigano in tardive fioriture rosa elettrico.
Ma più di ogni altro, almeno per me, il fiore del tardo autunno è la calendula.
L’ho conosciuta la prima volta un aprile di parecchi anni fa (ne parlai la primissima volta qui, quando i suoi fiori li ho messi in un’insalata), in quello che è il suo effettivo tempo balsamico, ma mi sono sorpresa, osservandola nel tempo una volta individuata, nel vederla fiorire ininterrottamente, passato il caldo estivo, da metà settembre e per tutto l’inverno, fino al culmine primaverile, che si esaurisce già all’inizio di maggio. Da quel momento ha accompagnato col suo aroma penetrante e l’allegria delle sue corolle molte delle mie passeggiate e attività di campagna, in particolare una vendemmia di 6 anni fa, di cui questo articolo era parte, ma che ho deciso di ripubblicare in maniera indipendente dalle vicende di quel settembre tra le vigne, per aggiornarlo e valorizzarlo un po’ di più, ché immerso in quel racconto si perdeva per voi lettori e pure per google.
Mi ha accompagnata in vendemmia, dicevamo, e non a caso: la vigna è uno dei luoghi che preferisce per prosperare, e allo stesso modo adora gli oliveti. Capirete dunque che abitando in bassa Toscana, terra in cui vino e olio sono probabilmente le due produzioni più diffuse, di calendula mi capita di incontrarne davvero un bel po’, e capita spesso che sia protagonista anche nei corsi di riconoscimento erbe, che ho tenuto spesso in aziende vinicole e oleolicole, come Félsina, Dievole, o più di recente La Torre alle Tolfe.
Non che non possiate trovare la calendula selvatica se non vivete in terra di vigne e olivi: è molto diffusa anche in altri ambienti, ai margini di ruderi, sentieri, capannoni agricoli e coltivi, per esempio, o sotto siepi di prugnolo o di rovo, che è dove ho potuto osservarla la primissima volta. È presente negli ambienti collinari di tutta Italia tranne che in Valle d’Aosta, dal livello del mare fino ai 600 metri. Fa parte della grande famiglia delle asteracee, come camomilla, pratolina e topinambur, con cui condivide in modo evidente la morfologia dei fiori.
I suoi periodi balsamici, in cui dà il meglio di sè, sono aprile e ottobre, ma è una pianta che può fiorire tutto l’anno, a seconda di come va la stagione; questa caratteristica è chiaramente indicata dal nome stesso della pianta: calendula, il fiore delle calende, la pianta che (potenzialmente) fiorisce ogni mese, “così come”, scrive Cattabiani nel suo Florario:
[…] così come nel calendario romano arcaico la luna rispuntava, simile a una sottile falce lattea, alle calende di tutti i mesi, che allora erano lunari. Questo rapporto calendariale è riflesso d’altronde proprio nel seme somigliante alla prima falce di luna.
Fiore, dunque, la calendola, collegato alla Grande Madre, come ci conferma una leggenda greca che ha come protagonista Afrodite. La dea, addolorata per la morte del giovane amante Adone, pianse lacrime che, toccando terra, si tramutarono in calendole. Forse per questo motivo i greci raffiguravano il dolore con i tratti di un giovanetto che teneva in mano una loro corona.
Se la tradizione greca la vuole simbolo di dolore, tristezza e pena d’amore, la sua apparenza suggerisce piuttosto allegria, solarità ed esuberanza.
In agricoltura ha sempre accompagnato le attività quotidiane dei contadini: nelle campagne era conosciuta come orologio del contadino, per il suo aprirsi al levar del sole per chiudersi poco prima del tramonto, o anche barometro del contadino, perché chiude i suoi petali con un certo anticipo rispetto all’arrivo del brutto tempo. In vendemmia ho potuto effettivamente verificarlo: quando tutti davano la pioggia per scontata, perché lo diceva il meteo e perché “…quando ci sono le nuvole così su Siena poi arriva pure di qua…”, io andavo a cercare la calendula, e quasi sempre la trovavo sfacciatamente aperta. Ed effettivamente niente pioggia. Le uniche due volte in cui la pioggia ci ha sorpresi, però, non sono riuscita a trovarla. Una sola volta l’ho vista chiusa a un’oretta e mezza da fine turno ed effettivamente mentre andavo via dalle vigne iniziava a pioviccicare. Oh, secondo me funziona!
Le foglie, che hanno forma lanceolata e sono senza picciolo, hanno un colore piuttosto particolare, un verde spento, come velato di cenere. Sono cerose, vischiose, e sono intensamente aromatiche: credo che l’odore particolarissimo della calendula sia il suo carattere di riconoscimento più distintivo. A camminarci in mezzo, soprattutto in una giornata di sole, la percepisce il naso prima ancora degli occhi, che quando non è in fioritura potrebbero non individuarla. L’odore della pianta è piuttosto forte, non universalmente apprezzato, ma di certo unico: una volta percepito non si scorda più e sarà il più valido aiuto nell’individuazione della pianta.
Nel mio prevalente autodidattismo nello studio della flora selvatica, non ho avuto nessuno che mi indicasse la calendula e me ne facesse sentire l’odore. E se ho fatto inizialmente fatica, anni fa, a riconoscere con la sola vista la varietà spontanea (Calendula arvensis) è perchè è piuttosto diversa da quella che siamo abituati a vedere coltivata, molto utilizzata anche come pianta ornamentale (Calendula officinalis). Quest’ultima ha un fiore grande e dal colore molto intenso, tendente all’arancione; la Calendula arvensis invece, presente allo stato selvatico, ha un fiore parecchio più piccolo color giallo sole. È un giallo più scuro e pieno di quello, che so, di un tarassaco, ma non tende all’arancio. In alcune regioni d’Italia, tra cui la Toscana, può capitare di incontrare la Calendula suffruticosa, che può tendere invece all’arancio, come vedo qui, ma è certo molto più rara della C. arvensis (mi deve essere capitato di incontrarla qualche volta, e credevo fosse un’ibridazione con la varietà coltivata, ma è successo di rado).
Va da sé che, vista la differenza nella dimensione dei fiori tra C. arvensis e C. officinalis, anche la resa nella raccolta sarà diversa, come potete vedere in quest’immagine in cui ho messo a confronto i capolini essiccati delle due varietà:
Per quanto ne so, le proprietà terapeutiche non cambiano da una varietà all’altra, quello che varia è il periodo della fioritura, che nella C. officinalis va da maggio a dicembre.
Ferdinando Alaimo, nel suo bellissimo Erboristeria Planetaria, collega la calendula al Sole e a Venere, ma in particolare al sole, di cui racchiude l’energia che poi rivela nelle sue proprietà riscaldanti, cicatrizzanti, disinfettanti e sudorifere. L’energia venusiana la troviamo invece nella sua ricchezza di mucillagini, che con la loro umidità leniscono le infiammazioni, lavorando sinergicamente con l’azione solare. Questa sinergia trova la sua miglior espressione nelle proprietà emmenagoghe e antidismenorroiche, vale a dire nella sua capacità di favorire la comparsa delle mestruazioni e soprattutto di renderle meno dolorose. Sembra che la calendula sia molto efficace in questo senso, e andrebbe assunta, sotto forma di infuso o tintura madre, 7-10 giorni prima del presunto inizio del ciclo. La calendula poi, lo saprete bene, è molto usata nella cosmesi, territorio decisamente venusiano, per le sue proprietà lenitive e idratanti. Ma di questo vi parlo meglio tra poco.
Altre proprietà della calendula, in infuso, decotto e tintura madre, sono l’azione colagoga (stimola il flusso della bile dal fegato all’intestino, con possibili benefici per la funzionalità epatica, digestiva e intestinale), l’azione cicatrizzante su piaghe, ferite, ulcere croniche e gastriti, l’effetto depurativo e diuretico, antispasmodico e ipotensivo, l’azione antibatterica, fungicida (anche per uso esterno) e antivirale.
È molto bello il nome che le hanno dato i francesi: petit souci o souci des champs, in virtù del suo preoccuparsi della salute degli umani. Gli inglesi la chiamano invece marigold (occhio però che chiamano così anche il tagete). Ha anche degli utilizzi in orticoltura naturale, dove pare venga piantata per tenere lontani i nematodi, nocivi per alcune coltivazioni.
La calendula conosce anche un uso culinario, non soltanto dei fiori, ma pure delle foglie. Eh, sì, l’odore è forte, ma c’è chi apprezza qualche fogliolina delle più tenere a crudo in insalata (io per esempio) e soprattutto le foglie utilizzate come verdura cotta: la scottatura in acqua neutralizza l’odore pungente, e la rende un’entità selvatica molto versatile in diverse ricette, e molto facile da trovare anche in pieno inverno, quando altre erbe sono meno presenti. La consistenza è leggermente mucillaginosa, ma senza eccessi. In tanti storcono il naso, quando ne parlo durante i corsi, ma provare per credere!
I fiori, soprattutto quelli della Calendula officinalis che sono belli grandi, sono usatissimi come elemento aromatizzante e decorativo in diversi piatti. Hanno anche un ottimo potere colorante, tant’è che la calendula è stata definita anche zafferano di poveri, ché dei preziosi stami del Crocus sativus mima molto bene la tinta, anche se certo non il sapore. A questo scopo si possono usare petali essiccati ridotti in polvere o petali freschi tritati molto finemente, che si usano anche per aromatizzare e colorare formaggi freschi, creme, burri e salse. Non ho mai provato, ma mi viene in mente ora che potrebbero colorare piuttosto bene anche la pasta fresca.
I fiori della Calendula arvensis hanno una tinta più tenue, ma possono essere utilizzati negli stessi modi. I petali sono più piccoli, ma io alle volte metto in insalata direttamente i capolini interi.
I semi della pianta sono particolarissimi, raccolti in un frutto a forma di sfera schiacciata dai bordi irregolari che sviluppa a maturazione diversi semi a forma di mezzaluna, come scrivevo prima citando Cattabiani. Non ho modo di fotografarli ora, che non è il loro momento, ma potete osservarli nell’illustrazione botanica pubblicata poco sopra.
Raccogliete i fiori di calendula in una giornata asciutta, dando il tempo alla rugiada e all’umidità notturna di evaporare. Fateli asciugare in un essiccatore elettrico a 40° fino a completa essiccazione (dalle 10 alle 20 ore, dipende dalla grandezza dei fiori) o su dei graticci in un luogo buio, secco e areato per qualche giorno (almeno 5 o 6).
Conservate i fiori in sacchetti di carta o in barattoli di vetro. Potete utilizzarli per infusi e tisane (vi ho lasciato una ricetta per una tisana alla calendula qualche anno fa qui) o anche per prepararci un oleolito, se volete procedere nella preparazione da fiori secchi.
Parte del mio primo raccolto, in quell’aprile di diversi anni fa, ho voluto utilizzarlo proprio in una preparazione per uso esterno, un oleolito, un rimedio semplicissimo da preparare che permette di avere a portata di mano tutto l’anno le ottime proprietà di questa pianta.
Può essere utilizzato per lenire la pelle arrossata dal freddo o aggredita da qualsiasi tipo di irritazione, comprese le scottature, per soccorrere le labbra o le mani screpolate, per favorire la cicatrizzazione di ferite, ulcere e piaghe, per aiutare la guarigione di eczemi e dermatosi di varie tipologie, per prevenire e attenuare le rughe, per lenire la couperose. È un ottimo olio anche per la primissima infanzia, utile nel trattamento della crosta lattea nei neonati e come olio lenitivo e addolcente in genere per gli arrossamenti (ottimo da solo o unito all’iperico e alla camomilla per lenire gli arrossamenti da pannolino). Gli estratti di calendula sono tra i più diffusi nelle formulazioni cosmetiche, da quelle naturali a quelle da supermercato, che li annoverano spessissimo tra gli ingredienti.
La prima volta che ho preparato l’oleolito l’ho fatto da fiori secchi, ma sono anni che uso soltanto fiori freschi. Sempre quella prima volta, ho pensato di macerare i fiori in un prezioso olio di argan che i miei genitori mi avevano portato direttamente dal Marocco. Non sapevo se fosse l’olio migliore per l’estrazione dei principi attivi della pianta, ma speravo aumentasse l’efficacia dell’olio come antirughe, che i 30 li avevo già superati e lo scopo della preparazione all’epoca era soprattutto quello :).
Oggi uso olio di girasole estratto a freddo, un olio leggero e molto economico. Un olio di mandorla o di argan sono certo più adatti ancora all’uso cosmetico, ma sono anche parecchio più costosi (e infatti è praticamente impossibile trovare in commercio oleoliti che non siano estratti in girasole o oliva).
Usare fiori secchi, se fate un oleolito per la prima volta, è senz’altro più sicuro. I fiori freschi, con un procedimento scorretto, possono portare facilmente alla formazione di muffe e ad un irrancidimento precoce della preparazione. Potreste provare entrambi i metodi in contemporanea e osservare le differenze. I fiori freschi sono sempre preferibili perché più carichi di vitalità e principi attivi, ma sono pure belli carichi di acqua, che è notoriamente nemica dell’olio :).
Riempite per 3/4 un vaso di vetro con i fiori secchi o freschi, poi coprite bene con l’olio che preferite (girasole per me, come dicevo). Poggiate il coperchio sul vaso senza avvitarlo ed esponete il vaso al sole per 28 giorni, mescolando ogni giorno con un cucchiaio asciutto; i fiori devono essere sempre ben coperti dall’olio, per evitare la formazione di muffe, in particolare se usate fiori freschi. Se mettete il vasetto all’esterno ricordatevi di tirarlo dentro la notte o in caso di meteo avverso. Se volete preparare questo oleolito in inverno, basterà mettere il barattolo sopra un termosifone per soddisfare il bisogno di calore del processo o sulla parte meno calda di una stufa. In un mese piuttosto soleggiato, basterà anche tenerlo davanti ad una finestra esposta ad Est.
Passato il tempo di macerazione, filtrate l’olio con un colino a maglia finissima foderato con un panno di cotone, strizzate bene i fiori per raccogliere fino all’ultima goccia di olio (il residuo di fiori potrete poi metterlo in compostiera o tra i rifiuti organici) e filtrate una seconda volta attraverso un secondo panno di cotone pulito. Fate infine una terza filtratura, se volete anche un paio di giorni dopo le prime due. Io la faccio tramite un filtro per caffè americano, che lascia passare l’olio goccia a goccia mooolto lentamente, ma dà come risultato un oleolito limpidissimo. Travasate in boccette di vetro, meglio se scure, e conservatele in un luogo buio e fresco. Se ben filtrato e conservato, l’olio può accompagnarvi anche per 2-3 anni, ma è buona norma prepararne la quantità necessaria di anno in anno, per approfittare di un prodotto sempre fresco.
Dubbi? Domande? Qui sotto vi dò qualche altra dritta, e sennò approfittate dello spazio commenti ancora più in basso. O ancora, venite al prossimo corso in cui insegno a riconoscere, conservare e utilizzare le piante spontanee, sperando che quel momento arrivi presto!
Altre informazioni utili
In merito alla preparazione dell’oleolito, bisogna dire che, se è pratica indispensabile esporre il vaso al calore durante la macerazione, non lo è esporlo anche alla luce: in molti coprono il vaso con fogli di alluminio, o usano vasi scuri. Vi riporto qui quanto ho scritto tempo fa nell’articolo dedicato all’oleolito di elicriso: “[…] io stessa ho usato molti metodi diversi […]. C’è chi dice che solo l’oleolito di iperico si fa da pianta fresca e tutti gli altri vanno fatti da pianta essiccata, chi dice che solo l’iperico si espone alla luce del sole, le altre piante invece vanno protette dai raggi e devono prendere solo il calore…io, seguendo la mia intuizione e le indicazioni di bravi maestri, credo che la pianta fresca dia sempre il meglio rispetto alla pianta essiccata e che i raggi del sole favoriscano il passaggio dei principi attivi dalla pianta al solvente oleoso. Preferisco utilizzare sempre fiori o foglie fresche nelle mie preparazioni, quando posso […] e nel caso degli oleoliti preferisco esporre il barattolo non solo al calore, ma anche alla luce del sole”.
Non sono poi tante le ricette che ho fatto in questo blog con la calendula, bisognerà rimediare! Comunque se volete c’è un vecchissimo post con la ricetta di un’insalata, uno più recente con la ricetta di una tisana antinfiammatoria e antispasmodica, e infine una ricetta a base di germogli di luppolo, che ho guarnito con i fiori di calendula.
E se voleste cimentarvi in una tintura madre di calendula da fiori freschi, usate lo stesso procedimento che ho descritto qui per la Ballota nigra e anche qui per l’elicriso.
Come sempre: occhio a dove raccogliete. Ho visto cespugli floridi di calendula diventare rosso glifosato nei luoghi più inaspettati. Le settimane a cavallo tra ottobre e novembre sono periodo di trattamenti erbicidi, come lo è anche aprile, esattamente i due tempi balsamici della pianta, quindi fate sempre attenzione alla conoscenza dei vostri punti di raccolta, non solo in questi periodi ma tutto l’anno.
Come ho accennato a inizio post, questo articolo era parte del racconto di una mia vendemmia scritto nel 2014: la calendula l’avevo conosciuta poco tempo prima ed era stata molto presente in quelle mie giornate tra le vigne, così avevo parlato dei suoi utilizzi, delle modalità di raccolta ed essiccazione, di come prepararci un oleolito. Ho preferito quest’anno separare i due contenuti, ripubblicando quelli dedicati alla calendula in un articolo rivisto e aggiornato e più concentrato sulla pianta in sè, che in mezzo a quel racconto di vendemmia restava un po’ nascosta e poco facile da trovare.
Restano in quel vecchio post anche i vecchi commenti, che con la calendula avevano poco a che fare, qui apriamo un altro capitolo :).
Sono mesi che sto cercando di organizzarmi per mettere su uno shop online con i miei oleoliti e unguenti, ma sono una procrastinatrice accanita, per quanto riguarda le mie attività autonome, e non ce l’ho ancora fatta. Ma sappiate che ne ho da vendere :). Se volete informazioni scrivetemi intanto a [email protected].
Molto interessante complimenti
Grazie Elida!
Grazie mille il suo blog è molto interessante!! Vorrei chiederle se possibile, diceva che se si usano fiori freschi per oleolito bisogna stare attenti al procedimento, dopo aver messo i fiori a macerare si devono poi filtrare come spiegato sopra per i fiori secchi o c’è un procedimento diverso per togliere nel caso l’acqua? Oppure metterli al sole toglie già l’acqua? Grazie mille per la disponibilità!
Maria Sole, grazie a lei! Non c’è un procedimento diverso per la filtratura, è lo stesso per fiori freschi o secchi. Diciamo che con i fiori freschi bisogna fare più attenzione al ristagno di umidità non dimenticandosi mai di mescolare, e che se non si fa una filtratura ottimale alla fine c’è più rischio di muffe. L’olio dopo la filtratura deve risultare perfettamente limpido e senza residui. Può provare le due procedure per sperimentare, e vedere le differenze :).
A fine filtratura si può provare a vedere se c’è acqua residua travasando l’olio in una bottiglia di plastica completamente asciutta, da tappare bene, capovolgere e lasciare immobile per un giorno intero: se c’è acqua, si separerà dall’olio depositandosi sul fondo, e potrai lasciarla uscire con molta attenzione aprendo poco poco il tappo.
Ho trovato il tuo blog per caso e ne sono assolutamente entusiasta, mi sto già segnando mille ricette e curiosità.
Mi viene il dubbio solo su una cosa che hai scritto: sicura che il tagete sia tossico? io ho sempre saputo e letto che invece lo si usa anche in cucina per colorare le insalate o il sale aromatizzato. Le radici sono tossiche per certi parassiti che potrebbero voler attaccare il tuo orticello, ma a noi non penso faccia male, almeno i petali non mi pare 🙂 mi piacerebbe però avere un tuo riscontro. Grazie!
Cara Gaia,
grazie per il tuo commento e per il tuo entusiasmo!
Come spesso succede, voi lettori mi date una mano :). Sono poco esperta di piante coltivate e da giardino: nonostante il mio forte interesse per le spontanee sono un po’ un pollice nero, e non ho mai approfondito molto su quella parte di mondo vegetale che abbiamo addomesticato. Bastava fare qualche ricerca in più e avrei scoperto che la fonte a cui mi ero riferita era incompleta, e che esistono diverse specie di Tagetes, di cui molte non tossiche per l’uomo e anzi commestibili.
Quindi grazie ancora! Ti aspetto qui quando vuoi :).
Ho letto su guna che le creme a base di calendula possono aiutare per la dermatite atopica. Mio figlio ne soffre e spesso è costretto a usare delle creme al cortisone, ma vorrei effettivamente applicare rimedi a base di calendula, almeno nelle fasi meno acute può aiutare a tenere sotto controllo il fastidio. Grazie
Ciao Laura, certo, potresti provare! Ti suggerisco anche l’elicriso, che è indicatissimo per le dermatiti. Ne ho parlato qui. Buona fortuna!
Non so se è utile, ma ho risolto (in una settimana) la dermatite atopica in mio figlio togliendo i latticini. Poi, ognuno è a se, ma tentar non nuoce..
Ciao, grazie per le tue informazioni utilissimi. Ho un dubbio, gli oleoliti con le piante officinali si possono preparare gia dalla prima fuoritura? Grazie mille, Rossella
Ciao Rossella, grazie a te per la tua gentilezza :).
Non mi sono mai fatta questa domanda! Ma non mi risulta affatto ci siano controindicazioni nell’utilizzo officinale.
La questione potrebbe essere piuttosto un’altra: sono una pessima coltivatrice (me la cavo bene con ciò che cresce spontaneo, ma malissimo con l’orticoltura :)), e quindi non sono affatto attendibile, ma qualche controindicazione mi viene in mente potrebbe esserci, semmai, per il benessere della pianta. Io, d’istinto, il primo anno di fioritura di una pianta di elicriso e una di lavanda messe nel mio giardino, ho preferito lasciare i fiori sulla pianta e lasciarli andare in seme. Ma cerca di informarti da chi ne sa, sono solo congetture e io l’ho fatto puramente per intuizione!
Ciao Claudia, grazie per quest’articolo molto dettagliato ed interessante. Visto il dicembre caldo che stiamo vivendo in Toscana, la calendula selvatica e’ in piena fioritura dalle mie parti. Citi periodi piu’ balsamici di altri e mi chiedevo se nonostante siamo fuori stagione i fiori ora possano avere proprieta’ balsamiche o se consigli aspettare la prossima fioritura per raccogliere. Grazie
Ciao Marge, grazie a te :).
Sì, la calendula è particolarmente arzilla e zeppa di fiori questo dicembre. Io un raccolto adesso lo farei assolutamente: sarà un po’ più scarica rispetto al momento d’oro di aprile, ma mantiene comunque le sue proprietà officinali.
Che articolo fantastico…! Mi ha emozionato. Mai in nessun luogo avevo trovato tante informazioni sulla calendula, oltretutto condite con esperienza e intuizione personali… complimenti vivissimi! Sono una giovane veneta che si è da poco cimentata con la raccolta di erbe spontanee e coltivazione delle officinali, tra cui la calendula… seguirò con interesse i tuoi contenuti! Una bella scoperta 🙂
Valentina, grazie!! Felice di ricevere queste belle parole, sei la benvenuta!
Buonasera. E grazie per l’ articolo molto interessante. Vorrei provare a fare l’oleolito. Mi domandavo quali sono i dosaggi. Esempio 100 gr di calendula in 100 ml di olio…..? Grazie
Ciao Daniela,
le modalità sono diverse, e qualche farmacopea dà anche dosaggi precisi, ma per quanto mi riguarda non ne uso e vado semplicemente “a copertura”: metto i fiori in un vaso, senza pressarli, e aggiungo olio fino a coprirli, che vada un paio di centimetri sopra il livello della pianta.
Grazie ☀️