Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello

Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello 1
Ridatemi il mio maggio, il profumo delle acacie nell’aria, la neve dei pioppi, il sole deciso, che accarezza senza aggredire, i pranzi in giardino, le spalle nude, le corse nei campi dopo il primo taglio del fieno. Ridatemi il mio tempo migliore, o lasciatemelo vivere fuori dal suo calendario, anche solo per poco.

Mi piacciono le stagioni equilibrate. Mi piace che l’estate muoia lentamente, contaminando le prime settimane d’autunno, mentre prendono le tinte che lasceranno il posto al gelo dell’inverno, bagnate da piogge abbondanti. Mi piace che l’inverno sia freddo e umido, con le tramontane a spazzare via di tanto in tanto le nuvole per lasciare spazio a sole pieno e luce intensa, che fa luccicare la brina nei campi. Mi piace poi che la primavera arrivi dapprima lenta e incerta, poi esplosiva e sicura, nel tripudio di maggio, col sole a foraggiare la vita e qualche goccia di pioggia a sostenerla, per accompagnarci verso l’estate, calda come sanno essere le estati mediterranee, interrotte dai veloci temporali d’agosto.
Non appena le stagioni escono dal loro equilibrio, dentro di me, in sottofondo, inizia a muoversi un’inquietudine. Qualcosa manca, qualcosa non va, dovrebbe piovere ora e non sta piovendo, ci sarebbe bisogno di calore adesso e invece stanotte è arrivata una gelata. Mi ci dovrò abituare e trovarlo io un nuovo equilibrio interiore, perché succede sempre più spesso.
La mancanza d’acqua durante lo scorso inverno mi ha subito riportata con la memoria all’estate di due anni fa e a quella siccità tremenda e implacabile, in un timore crescente che quella condizione potesse ripetersi; e ora eccomi a guardare fuori dalla finestra, ogni singola settimana di maggio, una pioggia novembrina. Nulla è più come sembra.
Un’amica ieri mi scriveva: “Il maggio è arrivato, mia cara Claudia, solo che ha sbagliato indirizzo. Così autunnali, in genere, sono i maggi laggiù, nell’emisfero dove sono nata io (In Brasile, ndr). C’è qualcosa che proprio non va (ma non lo capisce la gente?)”.

Alla stessa gente si rivolge Stefano Mancuso nel suo ultimo La Nazione delle Piante, quando scrive:

In molti sono convinti che l’universo sia pieno di vita; serissimi calcoli ci raccontano di un universo più affollato della metropolitana di Tokio nell’ora di punta. Può darsi. Io non ci scommetterei.
L’ossessione per la vita aliena non è, ad oggi, supportata da una singola evidenza […]. Questo continuo discutere di pianeti simili alla Terra, dove la vita già potrebbe esistere o dove, in ogni caso, potrebbe tranquillamente attecchire, credo rappresenti una specie di rassicurazione per i disastri che stiamo combinando. Un’assicurazione che il nostro futuro, comunque vada, anche se finiremo le risorse di questo pianeta, da qualche parte potrà continuare. […]
Pensare che la vita sia così comune nell’universo immagino sia anche la conseguenza della scarsa considerazione che, in fondo, abbiamo per il nostro meraviglioso pianeta. Paradossalmente, poiché ci viviamo, pensiamo che debba essere qualcosa di comune. […]
Poche persone sono responsabili della sovranità dell’unico pianeta dell’universo sul quale la vita esiste. Non so quanto l’assurdità della faccenda vi colpisca, perché a me, talvolta, a pensarci, mi prende come un capogiro e mi sento come se fossi stato dislocato in uno di quegli infiniti universi paralleli in cui la logica non funziona nel modo in cui siamo abituati.

È un po’ lo stesso capogiro che prende a me. Prende anche a voi?

Restano i fiori, a dirci dove siamo.
Restano i Papaveri, a gridare allegri: “Maggio!”

Avevo sparso dei semi in un vaso, chissà se ve ne ricordate. Rubati a quel papavero pugliese, e mai germogliati. Ecco, avevano solo bisogno di passare un inverno in terra, questo è l’equilibrio che conoscono. Bisogno di sentire il freddo addosso, prima di aprirsi al calore. Il mese scorso, mentre passavo in giardino verso il cancello, le stesse “erbacce” che crescono nei vasi abbandonati guardati di sfuggita tutti i giorni mi hanno portata a fermarmi e tornare indietro. No, non sono dei cardi campestri ad essere germogliati lì dentro. Mioddio, sono dei Papaver somniferum!! Un’altra delle sorprese di questa primavera, dopo la borragine: mi ero totalmente dimenticata di quel vaso e di quei semi, ed eccoli lì. Sono cresciuti, hanno sviluppato grossi boccioli, li hanno lasciati pendere fino a quando, in una delle ennesime domeniche di pioggia, li ho visti alzare la testa, come a sfidare questo maggio che sa di novembre. I boccioli erano pronti, tutti e tre nello stesso momento. E la mattina dopo, un raggio di sole gli ha dato il segnale definitivo. Non ho immortalato che fugacemente la loro bellezza, ve la lascio immaginare, magari cercandola nelle immagini dello scorso anno, o nella vostra fantasia.

Sì, restano le piante a dirci dove siamo, che nonostante tutto continuano inesorabili il loro ciclo, con tutte le difficoltà del caso, con tutti i problemi che una stagione fuori equilibrio può creare. Ma loro sono rapide, forti, adattabili, Presto o tardi riescono sempre a trovare un nuovo assetto.
Chi se la passa alla grande è il bosco, più rigoglioso che mai, che magari inizia a nutrire il pensiero di potersi trasformare in una possente foresta pluviale.
E le ortiche, mai così alte e vigorose, in tripudio per la costante umidità, che adorano.

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È il mese dei papaveri, e quello delle acacie. Il loro profumo è smorzato e debole, il bianco candido poco esaltato dalle giornate uggiose, ma si lasciano ammirare, eleganti e fiere, soprattutto quando il sole arriva a dar loro un po’ di forza.
Oggi riesco a coglierne qualche grappolo, la pioggia ha dato una piccola tregua stamattina. In parte le userò per accompagnare le fragole nel pomeriggio, ma prima ancora non mancheranno a guarnire il mio pranzo.

In dispensa avevo da finire un semolato di Timilia, un grano antico siciliano. L’ho pescato tra gli scarti di lavorazione del Podere Pereto, qualche tempo fa, durante una visita in azienda insieme alla cooperativa per cui lavoro. Non viene coltivata qui, questa deliziosa varietà di grano duro, ma la piccola azienda che la produce non ha i macchinari necessari per le lavorazioni post-raccolta, così manda i chicchi qui in Toscana, perché vengano puliti, macinati e confezionati. Non l’avevo mai assaggiato prima, affezionata come sono ai grani peculiari del mio territorio, e l’ho trovata splendida, profumata e facilmente lavorabile.
Reduce dal primo corso base sulla preparazione della pasta fresca con i grani antichi al Pereto dello scorso sabato, e reduce da mangiate quasi giornaliere nelle settimane precedenti il corso per mettere a punto impasti e ricette, ho voluto omaggiare ancora una volta quella che, almeno in questo momento, è la mia pasta fresca preferita in assoluto: le orecchiette. Mi piace impastarle, mi piace strascinarle sul piano di legno una ad una, mi piace, soprattutto, mangiarle. È stata forse la preferita anche dei partecipanti al corso, mi pare di aver intuito :).

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L’ortica la metto in un pesto, preparato con mandorle tostate, in onore alla Sicilia, e con aglietto fresco, dal sapore intenso. Per dare ancora più decisione e aroma al condimento, aggiungo delle foglie di dragoncello, la più amata, in cucina, tra le artemisie, che Gli Orti di San Leonardo coltiva e raccoglie al di là del fiume. Il dragoncello, conosciuto anche come estragone, ha un gusto amaro, balsamico e intenso, se non lo conoscete dosatelo con attenzione le prime volte che lo usate, per trovare il vostro equilibrio nel gustarlo. L’ortica ne smorza gli eccessi, oltre ad arricchire il pesto con tutti i suoi preziosi nutrienti, dall’abbondanza di ferro e proteine a quella di vitamina C, che nell’uso a crudo viene preservata.

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Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello 5
Anche a maggio dell’anno scorso ho preparato un pesto un po’ selvatico per condire una pasta fresca, quella volta di grano Turanicum, la ricetta la trovate qui. Allora come oggi, latitavo sul blog: questo periodo per me è sempre tanto pieno, quest’anno è stato ancora più difficile trovare lo spazio per scrivere e fotografare, tant’è che è passato più di un mese dall’ultimo articolo. Ma è primavera, che la pioggia e il freddo lo vogliano oppure no, e in questi mesi è soprattutto per campi che mi potete incontrare! Domenica prossima, il 26 maggio, a Fèlsina (l’evento ci sarà anche in caso di pioggia, al coperto), il 9 giugno al Museo del Bosco di Orgia-Sovicille (SI), il 15 giugno da Camilla a La Corbetina, a Mercatale Valdarno (AR). Trovate tutte le informazioni nella mia pagina dedicata ai corsi. Ci troverete anche la passeggiata ad Archeologia Arborea, che questo mese impietoso, in cui ha piovuto a dirotto ogni singola domenica, ci ha fatto rimandare addirittura al 22 settembre. Vabbè, avete tutto il tempo per tenervi liberi ;).

E per il prossimo sulla pasta fresca, in cui potrete imparare a preparare orecchiette e molto altro, iscrivetevi alla mia newsletter dedicata i corsi, da qui o cliccando nei vari box che trovate in giro per il sito. Non so quando, ma faremo di certo il bis!
Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello 6

// Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello, con fiori d’acacia e petali di papavero //

°° Ingredienti °°

  • 400 grammi di semolato o farina di grano duro Tilimia
  • un mazzetto di ortica
  • qualche stelo di dragoncello
  • 2 cucchiai di mandorle
  • un bel pezzetto di aglio fresco
  • 5 cucchiai circa di e.v. d’oliva
  • qualche grappolo di fiori d’acacia
  • qualche petalo di papavero
  • sale marino integrale
Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello 7Mettete la farina in una ciotola, fate un buco a fontana al centro e unitevi poca acqua. Iniziate e impastare con le dita partendo dal centro incorporando pian piano farina dai lati, aggiungendo acqua man mano che serve, fino ad ottenere un impasto lavorabile e non troppo umido. Trasferitevi sulla spianatoia, impastate 5 minuti, poi lasciate riposare la palla sotto la ciotola per una mezzora.
Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello 7Separate le foglie d’ortica dagli steli, indossando sempre i guanti, lavatele, asciugatele con una centrifuga e tritatele grossolanamente. Lavate e asciugate anche il dragoncello. Tostate le mandorle a fuoco vivace in un tegame d’acciaio, agitandole continuamente, per 4-5 minuti.
Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello 7Tritate in un piccolo mixer le mandorle con l’aglio fresco ridotto in pezzetti, poi aggiungete ortica e dragoncello tritati e l’olio. Frullate brevemente, poi aggiungete il sale e regolate d’olio (aggiungetene se serve, o correggete con altre foglie di ortica e dragoncello), infine frullate ancora a scatti fino ad ottenere una salsa omogenea.
Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello 7Riprendete l’impasto, formate dei filoncini da tagliare a tocchetti piccoli e “strascinate” ogni tocchetto sulla spianatoia servendovi di uno di quegli inutili coltelli d’acciaio che non tagliano. Rigirate le orecchiette sul dito e poggiatele su un vassoio di carta infarinato. Se non avete presente il movimento, cercate qualche video su youtube. Oppure venite al prossimo corso al Pereto ;).
Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello 7Portate a bollore una grossa pentola d’acqua, salatela e tuffatevi le orecchiette. Cuocete per 4-5 minuti, scolate e condite con il pesto. Impiattate e guarnite ogni piatto con fiori d’acacia, precedentemente separati dai loro steli, e petali di papavero.
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6 commenti su “Orecchiette di Timilia al pesto di ortica e dragoncello”

  1. Sono venuta a trovarti e con piacere scopro questo post fresco fresco e profumato… ah quel rosso, mi ha attratto subito! La primavera che fatichiamo a trovare nell’aria, almeno vive e abita in piatti come questo, che hai saputo valorizzare anche in foto, lasciatelo dire 🙂
    Concordo, quando il clima sembra impazzire, c’è qualcosa che non quadra, che va come fuori binario… spero davvero che giugno si comporti da giugno, io monitoro la situazione erbe e piante a Villa Ada costantemente, è diventata la mia casa verde, mai come quest’anno! E voglio il sole caldo su quelle panchine dove ormai ho scritto il nome 😀
    Un abbraccio, in mezzo ai fiori e a questi sapori rustici ma eleganti insieme!

    1. Mbeh, me lo lascio dire volentieri, grazie grazie!! Non sempre riesco a mettere cura negli scatti, ma stavolta ce n’era un bel po’, quindi mi fa superpiacere che tu me lo comunichi.
      Oggi un raggio di sole, ma ancora così freddo là fuori…sono al limite della sopportazione, io che sono così metereopatica. Ma sì, aspetto come te giugno, e che si comporti davvero da giugno!
      Un abbraccio a te, cara Francesca.

    1. Grazie Daria! Provaci assolutamente, le orecchiette, passato un primo momento di incertezza nel movimento, sono davvero semplici da fare, e danno una gran soddisfazione. E sono sicura che anche i tuoi piccoli aiutanti si divertirebbero a darti una mano ;).

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