La lunghissima finestra di bel tempo che ci ha accompagnati da metà dicembre fino a poco fa ha asciugato la terra e reso più percorribili molti sentieri, prima zuppi di tutte le piogge novembrine. Ho passato molto tempo fuori, durante le feste, in cammino, al sole, cercando di godere il più possibile del calore invernale oltre le gelate e le nebbie. Continuo a farlo tuttora, nel tempo libero dal lavoro e dalla pianificazione della prossima stagione di corsi.
Cammino lungo i sentieri battuti tra i campi coltivati, oppure negli incolti, seguendo i percorsi tracciati da caprioli, cinghiali, tassi e altri animali selvatici, ben evidenti nella debolezza della vegetazione invernale. Costeggiano i ruscelli, le recinzioni, a volte tagliano i campi nel mezzo, a decine si infilano tra le siepi verso il fiume, passando sotto archi di rovi e vitalbe e scendendo ripidi l’argine giù fino alla riva.
Continuo quando posso a raccogliere, anche. Nel campo che frequento ora ho scovato delle belle piante di erba di Santa Barbara, la Barbarea vulgaris, chiamata anche crescione d’inverno, a causa del suo gusto piccante e intenso.
L’ho osservata per la prima volta qualche anno fa durante un sopralluogo in Valdelsa, non mi era ancora ricapitato di trovarne vicino casa prima d’ora (qui nella mia foto la vedete un po’ arrossita dal freddo, ma se volete studiatevela meglio su actaplantarum). L’ho adocchiata già da diverse settimane e memorizzato la posizione della colonia, misurando con gli occhi la distanza dai cespugli vicini e dalla fila di alti scardaccioni secchi, per dirigermi sicura verso la raccolta nei primi giorni dell’anno.
Pare che il nome Erba di Santa Barbara le derivi dall’essere particolarmente gustosa a cavallo del giorno dedicato alla santa, il 4 dicembre. Visto l’autunno caldo di quest’anno, posticipare la raccolta di un mese è stata probabilmente, senza volerlo, una buona idea.
Fa parte della famiglia delle brassicacee, ex crucifere, germoglia spesso in autunno per poi svernare senza crescere granché e fiorire verso aprile e fino a luglio, con dei piccoli fiorellini giallo intenso, simili a quelli della senape ma più piccoli. Le foglie sono lucidissime, completamente lisce, gli steli striati. La forma delle foglie è simile a quelle del crescione, ma sono più grandi e tondeggianti.
Da quando ho ripiegato su nuovi luoghi di raccolta, la ricerca delle erbe si è fatta più movimentata. Con le canone del pastore siamo ormai culo e camicia, riconoscono la mia macchina, corrono fuori dal noceto recintato attraverso i loro passaggi segreti e piazzano le loro zampe fangose sul vetro o sul cofano, quando mi fermo, facendomi le feste prima ancora che scenda. La più giovane, maledizione, piazza le sue zampe fangose anche su di me, fino alle spalle.
Tra Urano e la più anziana è puro amore, le altre due bastano a se stesse, le loro lotte ininterrotte sono di una gioia dirompente. Devo solo stare attenta a non mollare guanti e coltellino incustoditi, è un attimo che finiscano rubati e mordicchiati.
In lontananza, le pecore si godono il calore, stese al sole, vicine; gli agnelli fanno gruppo tra di loro, si rincorrono come fossero giovani cani. Una pecora se ne sta in disparte, lontana dal gregge. Quando passo dal recinto tornando verso casa, il cucciolo si tiene in piedi a fatica mentre la madre lo pulisce, ancora legata a lui fin nelle viscere.
Insieme alla barbarea ho raccolto anche, per bilanciare con un sapore più delicato il gusto amaro della compagna, qualche rosetta di crespino, conosciuto anche come crespigno, cicerbita, e con mille altri nomi popolari (Sonchus asper). Con le erbe ho preparato un ripieno, saltandole in padella con aglio, olio, peperoncino e olive nere, per farcire dei panzerotti da friggere in abbondante olio caldo.
Anche i panzerotti sono una preparazione ispirata dal mio compagno di pugliesi origini (come le orecchiette alle cime di rapa, la focaccia ai pomodorini e la favetta e cicoria), di cui ho sposato ben volentieri la goduriosa tradizione di prepararli alla vigilia dell’Immacolata e non solo. Adoro la pizza fritta, farcita ancora di più.
Se la ricetta tradizionale vuole pomodoro e mozzarella nel ripieno, le varianti sono innumerevoli. Il ripieno di cime di rapa ad esempio, pure tipiche della cucina pugliese, quello di cipolla, quello di scarola e olive, più affine alla gastronomia campana e d’ispirazione per questa mia versione selvatica. Anche con le erbe del ripieno potete sbizzarrirvi, usando ad esempio foglie di senape selvatica e di aspraggine, di papavero e di borsa di pastore o di borragine e silene in primavera, di amaranto e farinello in estate; le alternative possibili sono innumerevoli.
Intanto, se volete, provate così. Se non trovate la barbarea, unite il crespino, presente pressoché ovunque, a qualche altra pianta amaro/piccante che riusciate a trovare in questo periodo, come aspraggine o senape selvatica. Potete anche usare il crespino da solo, o rivolgervi direttamente agli ortaggi coltivati usando la classica scarola, sola o insieme a cicoria catalogna.
E se non vi va di friggere, per qualsivoglia ragione, cuocete i panzerotti in forno, come fossero dei mini-calzoni. Ma perché non friggere? I panzerotti meritano davvero!
Ho mantenuto l’impasto mediamente asciutto, per lavorarlo meglio, ma sappiate che un impasto più idratato darà panzerotti più soffici a fronte di una lavorazione più complicata, uno meno idratato tendenzialmente più croccanti con una lavorazione più semplice. Io sono per il soffice/sbattimento, ma qui vi ho voluto facilitare :). La patata nell’impasto aggiunge morbidezza e sapore, ma se non volete metterla sostituitela con poca acqua in più.
Chiudo comunicandovi che abbiamo già la data per il prossimo corso di cucina con le erbe selvatiche al Podere Pereto, di cui in tanti avete già chiesto informazioni. La data mi piace particolarmente, perché sarà sabato 21 marzo, equinozio di primavera. Potevamo scegliere un giorno migliore? In questo 2020 cade proprio di sabato, il giorno dei corsi al Pereto, e si incastra, incredibilmente, con tutti gli altri impegni degli organizzatori. Quindi evviva! Sarà un’ottima occasione per festeggiare insieme l’arrivo della bella stagione.
Il modulo di prenotazione sul sito del Pereto sarà disponibile a breve, ma ci sono già informazioni sulla mia pagina dedicata ai corsi.
Ma prima ancora…il 15 febbraio facciamo insieme la pasta fresca con i grani antichi! E per questo corso è già tutto pronto, modulo di prenotazione, locandina, informazioni sugli orari e sui costi.
Ci si vede sabato 15 febbraio dalle 10:00 alle 17:00 al Podere Pereto, tra nuvole di farina e mattarelli; impareremo a fare 4 formati di pasta con farine di grani antichi macinate a pietra, che in parte mangeremo insieme per pranzo e in parte porterete a casa con voi.
Siateci, le prenotazioni sono aperte, iscrivetevi sul sito del Pereto.
// Panzerotti di grani antichi alle erbe selvatiche //
°° Ingredienti °°
Per l’impasto:
- 150 grammi di farina di grani teneri antichi tipo 1
- una patata molto piccola (circa 40 grammi)
- 55 grammi di pasta madre liquida (li.co.li.) rinfrescata
- 90 grammi di acqua
- un cucchiaino di olio e.v.d’oliva
- un cucchiaino di sale marino integrale
Per ripieno e cottura:
- 5-6 rosette di erba di Santa Barbara (Barbarea vulgaris)
- 5-6 rosette di crespino (Sonchus asper o altre specie)
- 2 cucchiai abbondanti di olive nere
- un pizzico di peperoncino secco
- uno spicchio d’aglio
- olio e.v.d’oliva
- sale marino integrale
- abbondante olio di semi di arachidi o olio d’oliva per friggere
Altre informazioni utili
Come tante volte consiglio a chi partecipa ai miei corsi di riconoscimento erbe, uno dei modi per imparare a riconoscere delle piante che ci interessano è seminarle! Se ci faranno la grazia di spuntare, perché spesso le selvatiche fanno come pare a loro e se non gli piace l’angolino che gli avete destinato non si faranno problemi a deludervi, potrete osservarne la crescita e lo sviluppo appena fuori dalla porta di casa o in un vaso sul balcone, dalle prime foglioline fino al fiore e al seme. Questo vi aiuterà ad individuarle più facilmente anche in natura, durante le vostre uscite e passeggiate. Quindi se sapete già riconoscere una pianta dal fiore (un esempio facile per tutti è il classico papavero rosso, di cui spesso non si sanno distinguere le foglie, ma di cui tutti conosciamo il fiore) attendetene i semi, conservateli e seminateli al momento buono, solitamente in autunno, per vederli spuntare in primavera.
E se non avete raccolto i semi o una pianta proprio non la conoscete per niente? Molti semi si possono anche comprare. Io stessa ne ho appena ordinato alcune bustine di piante che trovo ostiche da riconoscere o che non riesco mai a trovare in giro, per seminarle a breve (in ritardo, ma siamo ancora in tempo!). Le ho prese da Magic Garden Seeds, che ha un’ampia scelta di specie selvatiche, ma vi consiglio anche Piante Innovative (che pur disponendo di un ottimo catalogo non aveva quelle che mi interessavano) o il neonato Florula, che immagino allargherà la propria offerta nel tempo (e che ha delle confezioni esteticamente stupende!).
Ho ordinato, tra le altre cose, anche il crescione d’acqua (Nasturzium officinalis), che so riconoscere e so pure dove trovare, ma che comporta qualche pericolo nel consumo a crudo, essendo particolarmente soggetto, quando cresce selvatico nei ruscelli, ad ospitare un parassita per noi umani pericoloso, soprattutto in zone di pascolo come la mia. Un peccato cuocerlo però, visto il suo sapore delizioso e la ricchezza di vitamina C. E quindi me lo provo in vaso!
Claudia ,
Ti ho lasciato un commento sotto una ricetta del 2012 , gnocchi al ragu’ vegetale , leggilo per favore , ci tengo assai .
Ciao Francesca, visto ora e risposto ora, e ti ridico ancora grazie anche qui!! Mi chiedevo proprio come fossi finita a commentare laggiù, su quel vecchio post, ma le vie di granosalis sono infinite :D.