A darmi il benvenuto, appena entro nel bosco dal cancello del borgo, è il giallo luminoso del grande acero campestre, ancora testardamente vivace persino a inizio dicembre. L’umidità delle piogge copiose e il sole pieno che batte ora lo rende più lucido e brillante che mai, una vera calamita per lo sguardo.
Prendo il sentiero che sale su, verso il noceto e il giovanissimo oliveto, dove l’inerbimento rende possibile camminare anche dopo tanta acqua. Nel bosco i pungitopi si sono già vestiti a festa, mentre sono spariti i funghi, a parte qualche minuta trombetta di morto, gli unici funghi che abbia imparato a riconoscere questo autunno, desiderosa, ma non ancora determinata, ad esplorare anche questo regno vasto, affascinante e pieno di storie da raccontare, di cui ancora so poco e niente.
La salita è faticosa, oggi, ma il premio è generoso. Si domina la valle da lassù, il cuore del paese, la strada per la città, i campi dei miei contadini, il percorso del fiume, le colline tutt’intorno. È Urano a guidare, seguendo d’istinto i sentieri tracciati dai caprioli lungo il manto erboso, che conserva ancora i residui bruno-argento dell’estate passata, a coprire il verde di oggi; so già che tornati a casa dovrò combattere con qualche astuto ma gentile cono di agrimonia e con i più prepotenti involucri spinosi di nappola, aggrovigliati stretti sul suo pelo.
Tra le file di giovanissimi olivi, un’alternanza di cultivar Leccino e Frantoio, qualche alberello è riuscito già a fruttificare: alcuni portano giusto un singolo frutto, quasi simbolico della loro voglia di crescere forti, un paio hanno già i pochi rametti zeppi di olive mature, che raggrinziscono non raccolte sulla pianta. Il noceto, dall’altro lato del sentiero, è in pieno letargo, ma le gemme sono già lì, pronte a gonfiarsi in febbraio.
In cima a tutto troneggia una carciofaia, circondata da una rudimentale recinzione. È tempo di lavorare il terreno e curare le piante. Giorni fa mi è capitato di incontrare chi se ne occupa, dopo tanti anni. Un vecchino alto, secco secco, avrà più di 80 anni, che sale in cima dallo sterro che porta alle case su in alto con un buffo camioncino rosso scarlatto. Ero col mio lui, quando l’abbiamo trovato lì al lavoro, camminavamo accanto alla recinzione e parlavamo, continuando ad osservarlo per dare un cenno di saluto, quando ci avesse visti, ma niente: non si è minimamente accorto di noi, assorto com’era a vangare il terreno, rigorosamente con attrezzi manuali, e a rincalzare le piante. Forse è pure un tantino sordo :).
In ogni caso gliela invidio un po’, quella carciofaia. Da lì ci si affaccia anche sulla piccola valle verso Sud, con macchie di bosco intervallate da campi arati e pascoli. I colori sono magnifici, regalano un’altra suggestione ancora, in quella visione d’insieme, rispetto all’esserci immersa dentro. A guardia dei carciofi c’è un esercito di calendule in fiore, che riaprono le corolle ancora umide, avide di luce. Urano riposa soddisfatto sull’erba, gli occhi socchiusi, il muso controvento e il naso attivo, a captare la miriade di informazioni portate dalla corrente.
Volgendo lo sguardo in basso verso est, scorgo il mio campo ritrovato. La colonia di cardo mariano al centro del campo è così grande che la vedo distintamente anche da qui, ad almeno 500 metri di distanza. Il terreno è morbido ora, è tempo di un buon raccolto di radici.
Il clima chiamerebbe una bella zuppa avvolgente, ma oggi con la radice del cardo mariano preparo un’insalata, per farvela assaggiare anche a crudo. Una zuppa però, anzi una vellutata, l’ho preparata un paio di anni fa, con la zucca, se volete la trovate qui.
Le radici di cardo, come vi raccontavo in quell’occasione, sono grosse e fittonanti, tipo le carote coltivate, quindi molto facili da lavorare in cucina, e col terreno nelle giuste condizioni anche da estrarre. Hanno un sapore delicato, dolce e aromatico, sono nutrienti e ricche di sostanze buone. Le ho unite nel piatto con il finocchio raccolto di fresco agli Orti di San Leonardo, con i chicchi dei melograni del mio giardino, e con un’altra selvatica ma non troppo. Un’erba, che sarebbe spontanea, ma che sto facendo crescere in vaso, che spontanea non l’ho trovata mai.
Chi ha frequentato i miei corsi mi ha sentita spesso dire che uno dei modi per prendere familiarità, o semplicemente per usarle se non le troviamo, con delle piante che ci interessano è coltivarle. Non sempre si avrà successo, in particolare se siete dei pollici grigi come me (sì, sto variando un po’ la sfumatura dal nero totale, forse), e soprattutto se la selvatica in questione non ha tanta voglia di farsi addomesticare nel vostro microclima e nel vostro terreno. Però ecco, spesso la cosa funziona. E così quando quest’estate sono capitata, passandoci davanti per dei giri di lavoro in Valdorcia, a La Buca Vecchia per fare un saluto a Caterina e lei mi ha offerto dei semi di Hyoseris radiata, ho accettato immediatamente, felicissima. Erano anni che la cercavo nei campi e a bordo strada, tremendamente attratta non so come mai dal disegno in bianco e nero su Piante selvatiche di uso alimentare in Toscana. Mai vista, mai assaggiata, ma già sentivo di amarla. Ricordo di aver portato, ancora tanto inesperta, delle piante di Sonchus tenerrimus, che tappezza le strade di Roma, a lezione di erboristeria, quando frequentavo il corso anni fa, chiedendo speranzosa al maestro Sarandrea se fosse lei, indicandola sul libro. Eh no, mi diceva lui, non vedi com’è diverso il portamento, che questa (il Sonchus) si ramifica e quest’altra no?! Già, che tonta, la Hyoseris era disegnata con la sua rosetta di foglie anche in fioritura, un po’ come il tarassaco.
Ho messo in vaso quei semi a metà primavera, ho aspettato, ho aspettato e ho aspettato ancora. E niente. Ma non mi sono data per vinta: l’esperienza insegna, e mi sono ricordata del mio papavero da oppio, dei semi rubati nottetempo in un paesello dell’entroterra salentino e della loro ritrosia a germogliare, se non dopo aver passato un inverno al freddo. Così mi sono dimenticata lì il vaso, non l’ho più considerato, ma i semi li ho lasciati al loro posto. E la mia fiducia è stata ripagata: un mesetto fa, con la coda dell’occhio, ho notato una macchia di verde passando distrattamente vicino al vaso, ed eccole lì: un mucchietto di giovani Hyoseris, finalmente, da osservare dalle prime foglie fino al pieno sviluppo.
E da assaggiare! Caterina mi ha nuovamente preceduta in questo, donandomi poche settimane fa un sacchetto della sua insalata di campo appena colta con dentro tanta lucertolina, questo il nome popolare della Hyoseris radiata che ho trovato su actaplantarum, che si è ben espansa nella sua serra e nel prato davanti al ristorante. Deliziosa. Dolce e tenera, ma con carattere.
Osservandola crescere sto imparando che fin da subito sviluppa una farina granulosa sulle foglie, che si porta dietro per tutto lo sviluppo e perde in parte dopo forti piogge. E che la pagina inferiore delle foglie è velata di bianco. Non so se fiorirà in inverno, ma attendo la primavera e l’estate per scoprire la forma di fiore e soffione.
Intanto ho fatto un primo raccolto di foglie, proprio oggi. Potete sostituire la lucertolina con la borsa di pastore, più piccante, che abbonda in questo momento, o anche con una qualsiasi rucola coltivata.
Non so se riuscirò a palesarmi nuovamente prima di Natale. Saranno settimane intense di lavoro, ma poi, ecco, per chi ha le famiglie fuori regione come me e il mio compagno c’è poco altro da fare quest’anno, scavallato il 24 :). Buon dicembre a tutti e buon solstizio!
// Insalata con radice di cardo mariano, finocchi e Hyoseris //
°° Ingredienti °°
- un finocchio
- 3-4 radici di cardo mariano di media grandezza
- un bel mazzetto di foglie di Hyoseris radiata (o di Capsella bursa-pastoris, o anche di rucola)
- una manciata di chicchi di melograno
- succo di limone
- olio e.v.d’oliva
- sale marino integrale
Altre informazioni utili
Vabbè, non starò troppo lì a darvi idee regalo, che c’è chi ha ben altro a cui pensare quest’anno o chi non avrà chissà quanta gente intorno all’albero con cui scambiare doni. Ma se vi dovesse servire, ho aggiornato la mia lista dei libri letti e consigliati con qualche recente lettura, incluse un paio non ancora completate ma già promosse ai primi paragrafi (li ho messi pure nell’immagine di apertura). La lista la trovate qui.
Sempre in tema regali, non sono ancora riuscita a mettere su il mio negozietto oline, ma di oleoliti e unguenti ne ho. Se vi interessa averli per voi o per regalarli scrivetemi a [email protected] (disponibili iperico, calendula, elicriso, lavanda e camomilla).
Ieri ho avuto l’occasione di potermi fermare a respirare in una piazzola della strada che da Murlo va a Buonconvento, una vista panoramica strepitosa, ai miei piedi dei cardi mariani con le loro bellissime foglie variegate… E mi chiedevo come si potessero mangiare! Tempismo perfetto, e grazie per questa chicca!
E i modi per mangiarli non si esauriscono certo col consumo della radice! Le foglie, una volta tolte le spine, sono buonissime sia in insalata che spadellate. E poi c’è il midollo del fusto quando va in fiore, le coste, i capolini, i semi…io ho usato pure i fiori, in questa ricetta.
Grazie di essere passata!
Ciao Claudia
Passo di qui sempre molto volentieri!
Diverse cose ti invidio (in senso buono ovviamente ) come il poter andare per i boschi… È una cosa che adoro!
Cmq ci tenevo a farti i miei auguri: buon solstizio a te! Ci intendiamo anche in questo
Un abbraccio
E io ti accolgo ancora più volentieri, sempre con tanto piacere! Grazie Antonella, dell’augurio e dell’abbraccio, ricambio in pieno :).