Dopo tre giorni di forte vento da nord, che ha sfidato e spesso vinto le tenacia delle foglie novembrine ancora attaccate ai rami di quercia, si sono aggiunte le prime deboli gelate a fiaccare le resistenze delle foglie autunnali, che al primo sole, nel mio giardino, cadono una dopo l’altra, in un silenzioso concerto di morte che è già promessa di nuova vita.
Nel bosco i giorni di tramontana hanno asciugato il tappeto di foglie a terra, che ora suonano al passaggio volutamente lascivo dei miei stivali, un fruscio che porta le tinte di fine autunno, che coprono ogni tonalità di grigio e marrone, inframezzate da macchie giallo-verde delle foglie appena cadute.
Se esiste una sola cosa positiva in questo nuovo lockdown, attivo qui in Toscana da una quindicina di giorni abbondanti, è l’essere capitato in piena stagione della caccia, sospendendola di fatto in ogni comune e aprendomi la strada alla frequentazione assidua e serena del mio bosco anche nel cuore dell’autunno. E me lo godo, più che posso, con la pioggia, col vento, col sole generosissimo di questi giorni puliti dal vento, ché il ritorno in zona arancione (e ne sono contenta, ovviamente) pare essere dietro l’angolo, e con esso un nuovo via libera all’attività venatoria.
Nel bosco il concerto, da un paio di mesi buoni, lo fanno le ghiande, che cadono a ritmo cadenzato, spezzando con discrezione il silenzio di novembre. È un anno di abbondanza, per i frutti delle querce. Non ricordo assolutamente in quale dei libri letti nell’ultimo anno ho scoperto che le querce, come i faggi e altri alberi che producono ghiande, non fruttificano tutti gli anni, ma ogni 2, 3, anche ogni 4 anni. E quando lo fanno, lo fanno in modo corale, tutte insieme nello stesso momento. Non è ancora chiaro il perché di questo fenomeno: una delle ipotesi è che questa alternanza di scarsità e abbondanza serva a controllare le popolazioni degli animali ghiandivori, come roditori, in primis gli scoiattoli, o i cinghiali e altri, riducendone il numero in certi anni per poi favorirne benessere e riproduzione nel giro di una sola stagione. Un’altra ipotesi è che in questo modo animali come gli scoiattoli, che sotterrano le ghiande in tanti punti diversi per farne scorta e tornare a cibarsene durante i mesi successivi, con tanta abbondanza a disposizione tendano a sotterrare più frutti e a dimenticare con più facilità molti nascondigli, favorendo così la riproduzione delle querce tramite la germinazione delle ghiande, che grazie agli scoiattoli vengono messe nelle condizioni ideali per farlo, ben piantante sotto terra.
Se ne parlava quest’estate a La Scoscesa con Lorenzo Costa, che da quando ha scelto di recuperare e coltivare quei terreni terrazzati nel Chianti, che contano diversi ettari di bosco di querce, ha atteso l’anno produttivo degli alberi, fino a quel momento invano. E proprio quest’anno è infine arrivato, lassù nel Chianti come quaggiù nelle Crete, con una sincronia che ha dell’incredibile, a 50 km di distanza. Al di là di non comprenderne la reale motivazione, chi studia questo fenomeno è ben lontano dal capire anche come facciano gli alberi, a così grandi distanze, a mettersi d’accordo, come riescano a comunicare tra loro e sincronizzarsi. È ormai risaputo che le piante siano in grado di comunicare tra loro attraverso segnali chimici liberati nell’aria tramite le foglie o nel sottosuolo tramite l’apparato radicale, ma si parla di alberi vicini tra loro, come coprono distanze così enormi?
Che poi le ghiande non piacciono mica solo ai maiali e agli scoiattoli. Hanno fatto parte dell’alimentazione umana per migliaia di anni: come ha scritto proprio Lorenzo in questo suo post, “Abbiamo mangiato più ghiande che cereali da quando esistiamo”. Sono una vera bomba di nutrienti, tanto che gli uomini hanno ha lungo tentato di addomesticare la quercia, facendone un albero da coltivare come i noccioli o i meli, ma invano, Le querce sono indomabili, irrimediabilmente selvatiche.
Mentre Lorenzo raccoglie e lavora le ghiande per farne finalmente una farina (è questa la ragione per cui attendeva con ansia il primo anno di abbondanza), io lascio tutto in pasto agli scoiattoli tranne un mucchiettino per divertirmi con qualche sperimentazione, e mi dò alle più domestiche mele.
È da un po’ che non vi preparo (e non MI preparo) un dolce, ma i primi veri freddi lo chiamano a gran voce. Come sempre da queste parti, quello che vi suggerisco è un dolce semplice, tanto semplice, ché la pasticceria decisamente non è il mio forte, e neppure il mio forno è mai stato granché collaborativo. Questa ricetta l’ho salvata a fine estate dal feed instagram di Gabriela, alias unaelle, e stranamente non l’ho dimenticata, destino di tante altre cose che salvo in attesa di approfondimenti futuri che non arrivano mai. Nella sua semplicità mi ha conquistata subito, ed è in effetti una preparazione velocissima e versatile, a cui non serve neppure una teglia, solo un foglio di carta da forno.
Gabriela l’ha a sua volta mutuata dalla ricetta pubblicata in Sweet Artisan Stories di Romina Coppola, libro (ma anche blog) che non ho ma che immagino ricco di ispirazioni interessanti. Ma io, come dicevo, coi dolci ci so fare poco, così finisco sempre a orientare le mie poche risorse spendibili verso altro.
Fragole ci aveva messo Romina, pere ci ha messo Gabriela, mele ci metto io, che di fragole non è più tempo e di pere non trovo fornitori affidabili. Le mele invece le produce Podere Fonteconino a Montepulciano e so sempre come reperirle, come pure il buon succo di mela che ho messo nell’impasto, degli stessi produttori.
La ricetta è quella di una galette, l’impasto semplicissimo, con pochi ingredienti, che volendo possono essere ridotti a tre soltanto. Devo dire la verità: non mi sono trovata bene con le dosi che ho trovato nella ricetta originale. L’impasto era troppo secco e non riuscivo a stenderlo, si sbriciolava irrimediabilmente. Sarà stata la mia farina, magari diversa da quelle utilizzate dalle altre, ma l’ho sempre usata per tutto (la mitica mix di grani teneri antichi semintegrale del Podere Pereto) e non mi ha mai dato grandi problemi. Mi sono però ricordata che avevo già preparato una galette in precedenza, e l’avevo pure pubblicata su questo blog: era a base di more, ispirata da Ileana di Ribes e Cannella. Che mette più del doppio di liquido in più, che sia acqua o succo di mela. E sì, per me funziona decisamente meglio :).
Ho fatto una piccola aggiunta alla semplicità dell’impasto: mi sono ritrovata in dispensa una crema di mandorla e nocciola di Fattoria della Mandorla e ho sentito l’irrefrenabile impulso di aggiungerne un cucchiaio colmo. La adoro. Potreste usare il burro di mandorla autoprodotto che vi ho spiegato come preparare in casa tempo fa, o omettere del tutto questa aggiunta goduriosa. In ogni caso, la galette sarà facilissima e veloce da preparare e parecchio buona, nella sua semplicità.
Le nocciole sono quelle, appena arrivate, di Fattoria di Lucciano, di cui vi ho parlato in un articolo di un paio di anni fa sul tema della coltura intensiva della nocciola, e dei suoi danni, nel viterbese, cosa a cui ovviamente Fattoria di Lucciano si oppone, in primis tramite un’agricoltura consapevole e sostenibile.
Vi lascio qualche approfondimento a fine ricetta, come ormai faccio quasi sempre, e spero di tornare a scrivere prestissimo :).
// Galette di mele e nocciole //
°° Ingredienti °°
Per la base:
- 200 grammi di farina di grani teneri antichi semintegrale
- 60 grammi di olio di semi di girasole
- 70 grammi circa di succo di mela, fresco di estrattore o in bottiglia (sostituibile con acqua)
- opzionale: 1 cucchiaio colmo di crema di nocciola e mandorla, o di burro di mandorla (circa 20 g)
- 1 cucchiaio di aceto di mele
- un pizzico di sale
- sciroppo d’acero, per spennellare i bordi
Per il ripieno:
- 3 mele di media grandezza
- 3 cucchiai rasi di zucchero mascobado o dulcita
- poco succo di limone
- una manciata di nocciole sgusciate (opzionali ma molto consigliate)
Altre informazioni utili
Sull’affascinante questione “maturazione sincronizzata ghiande”: se ritroverò le mie fonti bibliografiche aggiornerò il post, ma intanto vi rimando a un articolo online semplice e ben scritto sull’argomento. È in inglese però, se per voi non è un problema lo trovate qui. A quanto pare nel New England l’anno buon è stato il 2019 :).
Sulla questione, altrettanto affascinante, della comunicazione tra piante e sulla neurobiologia in generale, trattata in modo assolutamente divulgativo, non posso non consigliarvi i libri di Stefano Mancuso. Ammesso che siate tra i pochi che ancora non li hanno letti, visto che ormai è una superstar :). Tra tutti (che li ho letti TUTTI incluso l’ultimo uscito La Pianta del Mondo), vi consiglio in particolare Verde brillante e Plant revolution. Questo per approfondire al meglio la questione comunicazione e intelligenza vegetale. Se devo dirvi invece i miei preferiti di Mancuso sono L’incredibile viaggio delle piante e La nazione delle Piante. Anche perché con gli anni ha imparato a scrivere meglio e, cosa che non dispiace mai agli appassionati di libri e carta come ho scoperto, leggendo l’ultimo libro, essere anche lui, ha avuto la possibilità, con Laterza, di fare edizioni esteticamente molto belle.
Come si fa la farina di ghiande? Il procedimento è un pochetto complesso, non basta seccare i frutti. Lo spiega benissimo Adolfo Rosati nel suo I buoni frutti selvatici, che vi straconsiglio insieme anche ai suoi Riconoscere e cucinare le buone erbe e Riconoscere e cucinare le buone erbe vol. 2, quelli che csuggerisco sempre e chiunque inizi ad avvicinarsi al mondo delle spontanee commestibili. Alle ghiande dedica un approfondito capitolo, suggerendo tutte modalità possibili di trattamento e conservazione. Fondamentalmente, essendo ricche di tannini, vanno lisciviate, cioè ammollate in acqua da cambiare più volte per un periodo variabile, che va da 2 a oltre 7 giorni, perché rilascino nel liquido le sostanze amare e astringenti.
Di Lorenzo Costa e La Scoscesa vi ho già parlato un paio di mesi fa, quando ho pubblicato una ricetta a base delle sue splendide patate rosse. Se ve la siete persa andate a leggere due cose su questo progetto di rigenerazione agricola, su cui, come dicevo, ci sarà ancora da dire.
Gabriela / unaelle ha anche un blog, che però è stato aggiornato l’ultima volta nel 2017. Ciò non toglie che i contenuti siano ancora validi e consultabili, ma vi suggerisco, se avete un account instagram, di seguirla lì. Di cucina parla molto meno, ma nelle storie pubblica tanti approfondimenti interessanti che lascio scoprire a voi :).
Ciao, hai letto il libro “Quercia, storia sociale di un albero”, di William Logan? Parla anche delle ghiande come alimentazione umana. Ah, scusa, io sono Valentina, ti seguo in silenzio da un po’. Grazie per le ricette e foto!
Non l’ho letto, ma succederà presto! È stato buffissimo trovare questo tuo commento stamattina: avevo appena ricevuto per email lo stesso consiglio da un’amica, che me lo presterà a giorni…è proprio destino che lo legga ;).
Grazie a te per la presenza silenziosa e per il silenzio rotto oggi!