Un fiume d’acqua di colpo si abbatte su San Michele. Poi, dopo una decina di minuti, inizia quel ticchettio ben noto. Mezz’ora di grandine, un crescendo che a guardarlo da fuori sembra quasi virtuosistico.
Fulmini ci sfiorano, fa freddo. I pallini di ghiaccio si ingrossano. Ci guardiamo atterriti, impotenti.
Penso: come è possibile opporsi a tutto questo? Come è possibile limitare i danni, difendere quanto fatto, impedire a questa marea che monta inesorabile di portarsi via i nostri sogni e i nostri progetti?
Si sta come vignaioli alla fine dell’estate.Da “Come vignaioli alla fine dell’estate – L’ecologia vista da una vigna”, di Corrado Dottori.
La stagione avanza, corre veloce, incalzata dalla luce e dalle temperature in rialzo, ma ancora frenata da un clima troppo asciutto. Marzo è iniziato con le piogge, ma è proseguito con sole, vento, troppo caldo e meno acqua di quanto vorrebbe, restando asciutto fino a scavallare la metà di aprile.
La natura ha il suo progetto, come ogni primavera, e lo porta avanti incurante delle difficoltà, affrontandole con pazienza e tenacia, generando risorse e soluzioni. Dopo il rigoglio delle erbacee, anche gli alberi, puntuali, hanno aperto le gemme, dando alla luce foglie tenere e delicate, dai colori brillanti. Intensamente aromatiche e balsamiche quelle del noce, che mi piace sfregare con le dita per trasferirvi il loro profumo, ma tanto fragili, esposte ai pericoli delle gelate tardive, come quella che un paio di anni fa le bruciò, insieme a tutti i fiori. Più attrezzate quelle delle robuste querce e dei rustici pioppi, tenere ma ricoperte di una leggera pelliccia, un antigelo perfetto, che vestono sempre le piante più diffidenti.
Passata la linea rosso diserbo del campo grande (ché l’agricoltura non si è fermata, inclusa quella più tossica e impattante), arrivo al sentiero bordato di aceri campestri. Il ronzio delle api tutt’intorno è fortissimo; sfioriti i prugnoli, ora cespugli verdi e silenziosi, è tempo di dirigersi verso altre fonti di nettare, in attesa dell’esplosione generosa dei biancospini.
Mi ci voleva l’assidua frequentazione forzata del solo sentiero dietro casa, che in altri periodi ho in parte tralasciato in favore di percorsi più distanti, per indurmi a osservare per la prima volta i fiori di questo arbusto, un tempo onnipresente nei vigneti come tutore delle viti, che a lui venivano “maritate”, oggi risparmiato in pochi esemplari ai bordi di campi coltivati e sentieri, dove veniva diffusamente usato come frangivento e barriera per gli animali selvatici. Per vedere i fiori bisogna soffermarcisi di proposito, perché a colpo d’occhio non si fanno certo notare, col loro verde brillante identico alle foglie, che spuntano nello stesso momento, e una forma così poco appariscente, che a osservarla meglio si rivela spettacolare.
Al centro di una piccola corona di stami, con il prezioso polline all’apice, c’è nascosto un piccolo tesoro. Bisogna aguzzare la vista, è così piccolo, ma è lì. È l’embrione del frutto che sarà, con una forma già definita e riconoscibile. Le samare dell’acero sono tra le più belle forme botaniche che ci siano, e all’interno del fiore sono già perfettamente cesellate, in miniatura, pronte a gonfiarsi dopo la fecondazione fino alla grandezza finale. Una semplice meraviglia, almeno lo è stata per me quando l’ho scoperta. Ora molti fiori sono stati fecondati, hanno richiuso le brattee sulle samare già leggermente ingrossate, gravide; gli stili riccioluti hanno cambiato colore, tingendosi di rosa come l’involucro delle gemme, ancora visibile. È come avessero abbassato la serranda agli impollinatori, mettendo un cartello “chiuso” all’esterno, così da non fargli perdere tempo prezioso.
Non è l’unica scoperta che ho fatto appena dietro casa. Sto identificando piante nuove, che non ho mai notato sui soliti percorsi. Ho scovato due esili ciliegi in fiore, nati da soli in mezzo al querceto. Ho sperimentato che sedersi e guardare il panorama da lassù, dove non arrivavo mai e dove il grano sta già spigando, è davvero bello.
È dolce, la primavera, ed è dirompente, è pura energia. Mette in moto i nostri corpi e pensieri, dopo il lungo inverno, come nient’altro sa fare. Eppure, quest’anno, non trovo nulla di più intonato al momento delle parole di Corrado Dottori che ho citato a inizio articolo:
Si sta
come vignaioli
alla fine dell’estate.
Un passaggio potente, che comunica alla perfezione quel senso di sospensione, di ansia, di attesa priva di certezze che accompagna i momenti in cui ci si sente più impotenti che mai rispetto agli eventi esterni.
Come quando hai lavorato un anno intero con amore e fatica a un raccolto che ad un giorno dalla vendemmia potrebbe essere spazzato via dalla grandine.
Come quando hai dedicato anni ad un progetto che rischia di crollare sotto la pressione di eventi eccezionali, tipo quello, assurdo, in cui siamo tutti immersi fino al collo.
Come quando l’intero equilibrio di un ecosistema incredibilmente complesso e straordinario come quello del nostro pianeta è sull’orlo di una crisi devastante, e noi ce ne stiamo lì a portare la nostra piccola goccia sull’incendio, mentre altri ci scaraventano addosso secchiate di benzina.
Meno inaspettato di altri, quest’ultimo scenario. E meno soggetto alla nostra impotenza, o almeno lo era fino a qualche anno addietro, ora chissà. È che a quanto pare siamo irrimediabilmente stupidi, a discapito di come è stata nominata la nostra specie.
L’inquinamento sta diminuendo, moltissimo, in questi mesi di lockdown, ne parlano tutti i quotidiani. Ma è solo un fuoco di paglia, anche se, certo, anche a me rallegra molto che almeno un aspetto positivo ci sia in questa strana e drammatica vicenda. L’unico periodo in cui si è verificata una riduzione delle emissioni, finora, è stato durante la recessione del 2008; è un dato che adesso è su tutti i giornali, ma che ho sentito per la prima volta proprio da Corrado Dottori verso fine febbraio, appena prima che iniziasse questo delirio, alla presentazione del suo libro che abbiamo organizzato a Siena. Me ne sono ricordata, quando sono cominciate le restrizioni, e ho subito capito che ci saremmo trovati davanti ad una riduzione ancora più drastica. Ma pure che, passata l’emergenza, nulla potrà cambiare davvero, senza azioni condivise a livello globale.
Le crisi foraggiano nuove possibilità, opportunità, cambiamenti. Possono essere molto negativi, come uno scenario di controllo globale sugli individui, giustificato dalla paura del contagio, ma possono essere positivi, come l’acquisire consapevolezza che esistono possibilità concrete di pensare un nuovo modello di vita e di lavoro che abbia un peso più leggero sugli equilibri naturali, che è necessario e possibile perseguirne la realizzazione, adesso. Saremo abbastanza saggi? O meglio, saremo in grado di farci sentire da chi certamente non lo sarà?
Mi piace molto l’articolo che ha scritto sul tema Corrado stesso nel suo blog, il 6 aprile scorso, dal titolo The past is finished, the future is unknown. Vi invito a leggerlo, lo trovate qui. Ne cito giusto un passaggio, piuttosto coerente con quanto ho già scritto:
Il mondo di prima è finito, dicono. Ma come sarà quello futuro nessuno può saperlo con certezza. E forse è proprio in questo assurdo e dilatato presente che può celarsi una strada: nei momenti di svolta le nostre scelte valgono doppio. Quel mondo che avevamo in mente e che ci sembrava impossibile, divorato dal Pensiero Unico, diventa una possibilità concreta e non solo utopistica.
Nel frattempo la primavera, e la cucina, restano tra le poche certezze. Nella ricetta di oggi si incastrano diversi elementi, che si sono messi insieme da sé senza che ci pensassi poi tanto. Avevo in mente di buttare giù questi pensieri citando il libro di un vignaiolo, e contemporaneamente volevo sacrificare l’ultimo bicchiere di una cassa di vino eccezionale alla cucina. Vino prodotto da un’altra vignaiola legata in diversi modi all’autore del libro, ma anche al mio territorio adottivo. Ho pensato ad un risotto e nel frattempo ho colto della bella ortica. E contemporaneamente mi innamoravo dei fiori di un acero, molto caro alla tradizione vitivinicola.
Non ci sono i fiori dell’acero in questo risotto, che non mi risultano essere commestibili, ma quelli dell’alliaria, che cresceva vicina alla mia ortica. Mi sarebbe piaciuto usare fiori di aglietto selvatico, dell’Allium neapolitanum in particolare, ma cresce troppo lontano da casa. Il vino è quello di Pàcina, la Riserva 2013, un vino naturale prodotto con amore da Giovanna Tiezzi e Stefano Borsa a Castelnuovo Berardenga, ma vi ho già detto che di loro vi parlerò più nel dettaglio quando potrò tornare laggiù. Me ne hanno regalata una scatola intera, in un contesto che non sto a raccontarvi, che ha rallegrato non poco la mia quarantena, finché è durata la scorta (poco, purtroppo), e pure il mio cuore. Volevo cercare di rendergli onore in qualche modo, spero di avercela fatta. Grazie Giovanna e Stefano, ancora una volta!
Lo ripeterò anche nel testo della ricetta, ma ve lo dico già qui: potete preparare il risotto anche con solo vino rosso e senza erbe, se in questo momento non avete la possibilità di raccoglierne, o sostituendo l’ortica con un pugno di spinaci o bietola, preparandoli allo stesso modo, ma anche con dei porri.
Io ho mantecato con burro di noci, ma potete usare un qualsiasi altro burro di frutta secca o semi, del tahin, o del burro classico. Oppure procedere come vi ho raccontato qualche (tanti!) anni fa per il risotto al radicchio. Ho usato l’aglio fresco, di cui mi sono innamorata lo scorso anno e che è finalmente di nuovo disponibile dai miei contadini dirimpettai, ma potete usare aglio secco o anche cipolla.
Aspettando la pioggia, che pare arrivi domani e per tre giorni di fila, vi mando un grande abbraccio!
// Risotto al vino rosso e ortica, con cimette di alliaria //
°° Ingredienti °°
- 400 grammi di riso, bianco o semintegrale (per me un Sant’Andrea, questo)
- un bel bicchiere di buon vino rosso (circa 200 ml – per le la Riserva 2013 di Pàcina)
- una ventina di steli fogliuti di ortica (Urtica dioica – sostituibili con spinaci o bietole)
- 10-12 cimette fiorite di alliaria (Alliaria petiolata)
- un aglietto fresco o uno spicchio di aglio secco
- due cucchiai rasi di burro di noci (o altro burro di frutta secca o semi)
- un cucchiaio di brodo vegetale
- olio e.v.d’oliva
- sale marino integrale
Altre informazioni utili
Il libro di Corrado Dottori è uscito da pochi mesi, ed è davvero molto bello. È strutturato come un diario, che si sviluppa nell’arco di un’intera stagione in vigna e in cantina, dall’autunno e fino all’autunno successivo. Mescola racconto intimista a cronaca del lavoro in vigna a pensieri e informazioni a tema ambientale, ecologico, agricolo, sociale ed economico. Si sorseggia come un bicchiere di vino buono.
Prima che scrittore, Corrado è ovviamente vignaiolo. La sua azienda è nelle Marche, a Cupramontana, di chiama La Distesa e produce vini naturali esattamente da 20 anni. È tra le 4 cantine protagoniste di Resistenza Naturale, il documentario di Jonathan Nossiter che racconta il vino naturale in Italia attraverso le esperienza, le lotte, le scelte di chi lo fa (non l’avete visto? Fatelo, che è bello parecchio, lo trovate anche su youtube). Altra protagonista è Pàcina, ed ecco uno dei legami che dicevamo :).
Ho avuto l’occasione di assaggiare alcuni dei vini di Corrado alla presentazione del suo libro, il 21 febbraio scorso. Ammetto di non averlo gustato con la giusta attenzione, ero da sola a organizzare e gestire l’evento e dopo i primi due bicchierini a fine presentazione, chè di vignaiole ce n’erano altre due, ognuna con i propri vini, stavo già un po’ ciucca; avrò bisogno di un ulteriore assaggio :).
Ricordo solo che uno dei suoi bianchi, dal colore torbido e leggermente mosso, mi ha catturata al primo sorso, l’ho adorato. Non ne ricordo il nome: che fosse il Nur?
La Distesa in questo momento può vendere solo online, i suoi vini li trovate qui (non solo, ma ho pescato il link dalla pagina facebook dell’azienda).
Per Derive Approdi Corrado Dottori ha già pubblicato in precedenza Non è il vino dell’enologo, che non ho ancora letto, ma che ho messo ora nel carrello…ho appena scoperto, cercando link per questo articolo, che Derive Approdi sta facendo lo sconto del 50% su tutto il catalogo, e voglio assolutamente approfittarne, pur non potendo acquistare granché, che pure io non è che me la passi benissimo :). L’editoria, come molti settori, è in crisi, la piccola e media in particolare. Quest’offerta è un modo per dare sostegno a chi compra chiedendo sostegno al tempo stesso, non per guadagnare, ma per restare in piedi. Se seguite questo blog, immagino abbiate in parte interessi simili ai miei: vi consiglio la collana Habitus, ci sono un sacco di titoli interessanti; alcuni li ho già letti e li trovate anche nella pagina dei libri consigliati.
Piccola chiusura botanica: la descrizione che avete letto riguardante i fiori di acero campestre (Acer campestre) non vale per tutti gli arbusti e alberi della specie: vale soltanto per gli esemplari che portano fiori ermafroditi (o bisessuali), in cui è presente l’ovario. Esistono anche esemplari a fiori unisessuali maschili, in cui noterete soltanto una corona di stami, senza la mini-samara al centro. Sono ugualmente diffusi, almeno per mia esperienza, ed è proprio osservandone diversi esemplari che ho notato la differenza e ho conseguentemente approfondito l’aspetto riproduttivo della pianta. Vi avrei fatto anche delle foto, almeno dei fiori ermafroditi, ma non ho fatto in tempo :).
Cara Claudia, ti seguo da tanti anni ma è la prima volta che ti scrivo, questo tuo articolo mi è piaciuto moltissimo, poetico nella descrizione delle piante che tanto mi piacerebbe vedere dal vivo come puoi fare tu! Io abito a Milano… Inoltre condivido le riflessioni sul futuro che in questo periodo occupano i miei pensieri. Penso che sarebbe ora di innescare il cambiamento non possiamo tornare indietro! Avverto in realtà che per molti non sarebbe un problema tornare a “come prima” che non credono che l’inquinamento ci faccia male e non fanno riflessioni sul cibo che mangiano! Però non voglio arrendermi e continuo a pensare che è ora di fare qualche cosa, di far sentire la nostra voce e dire che la Natura è il nostro bene più grande l’unico davvero indispensabile per vivere! Scusa il messaggio lungo! Spero un giorno di poterti incontrare ad uno dei tuoi corsi!!! A presto e buona serata, Alessandra
Ciao Alessandra, e grazie di cuore per il tuo commento. Quando dei lettori silenziosi ma affezionati fanno sentire la propria voce è sempre una sorpresa per me, e una gioia. E ti ringrazio di aver apprezzato così tanto questo articolo, e di aver dato il tuo contributo. Spero davvero, come te, che le cose si muoveranno nella direzione giusta, nei prossimi tempi.
E spero che passata l’emergenza tu possa trovare l’occasione di osservare le piante del territorio con qualcuno in zona Milano, sono sicura che ci sono tanti bravi divulgatori anche lassù! E i parchi cittadini offrono moltissimo materiale di studio. Ma mi auguro pure che saremo presto in grado di viaggiare, di nuovo, e che tu possa farti pure una vacanzetta in Toscana se vorrai, magari a ridosso di un mio corso :).
Un abbraccio!