Insalata di spinacio selvatico Buon Enrico, arance e fiori d’acacia

Insalata di spinacio selvatico Buon Enrico, arance e fiori d'acacia 1
Non molto tempo fa scrivevo qui sul blog che uno dei modi per imparare a riconoscere una pianta selvatica, se non riuscite ad identificarla in natura, o uno dei modi per poterla usare se in natura non ne trovate o ne trovate troppo poca, è provare a coltivarla. Sì, occhei, è meno romantico, un tantino ossimòrico, e il successo non è scontato (che le selvatiche, ma le piante in genere, fanno un po’ come gli pare, ed è giusto così), ma è una buona possibilità da considerare se avete un giardino, un orto, un balcone, un terrazzo o anche un grande davanzale, con una buona esposizione.
Io non ho mai osservato in natura il Chenopodium bonus-henricus, il Buon Enrico, una delle varie piante definite volgarmente spinacio selvatico. Mi capita poco di frequentare la montagna, negli ultimi anni praticamente niente, e il Buon Enrico è una pianta soprattutto montana, anche se è possibile trovarla anche in alta collina, dai 500 metri, fino a poco oltre i 2000.
Non l’ho mai osservato dal vivo in natura, ma tante volte sui libri, dove viene descritta come un’ottima e nutriente erba commestibile, con anche qualche valenza terapeutica. Tanto che quando mi è capitato di trovarne un esemplare in vaso, ad un mercato contadino, da trapiantare nel mio giardino, non ho potuto resistere. Vi ho già raccontato quando è successo: è stato quando Paolo mi ha regalato quella zucca cedrina al mercato contadino del Bio-Distretto di San Gimignano, con cui poi ho preparato composta e mostarda. In quell’occasione vi dicevo di aver comprato al banchetto di Piante Innovative (di cui vi ho già parlato in questo post anni fa, se non conoscete questo progetto bellissimo vi prego leggete l’articolo) una giovane piantina di Buon Enrico insieme a una salvia bianca, con cui facevo un secondo tentativo, impegnandomi a darle maggiore cura, per non farla soccombere al mio pollice nero (grigio, dai).
Ci sono riuscita secondo voi? No. L’ho travasata in un vaso ampio con buon terriccio mescolato a perlite, come mi ha suggerito Paolo, per drenare al meglio l’acqua, l’ho innaffiata con regolarità, l’ho coccolata, ma devo aver ancora sbagliato qualcosa, l’ho presa a novembre e non ha passato l’inverno. Uff. Forse dovrei provare a piantarla in piena terra, per farla più contenta. Ho sempre paura di affezionarmi e poi dover lasciare lì la pianta quando prima o poi lascerò questa casa, ma è deleterio pensarla così, me ne rendo conto. Meglio che viva felice anche senza di me, o che muoia di stenti perché io possa tenermela vicina? La risposta è piuttosto ovvia.

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Il Buon Enrico, invece, lui sì che ce l’ha fatta, e alla grande. Nella scheda dedicata sul sito di Piante Innovative si dice che “è […] una pianta molto rustica, che tollera anche situazioni di notevole trascuratezza e riesce bene nella maggior parte dei terreni”. Mi ha dato subito speranza leggere queste righe, in particolare quel tollera anche situazioni di notevole trascuratezza, e non sono rimasta delusa. Si dice anche “Per una buona resa dell’impianto si consiglia di aspettare il secondo anno per la raccolta delle foglie e dei germogli, lasciando sempre una porzione della pianta in salute: ci offrirà così il suo raccolto più volte durante la stagione e per molti anni a venire”. E anche in questo caso ho dato retta a Paolo: ho preso la pianta che era novembre, l’ho vista appassire col gelo (va in riposo vegetativo in inverno) temendo di non ritrovarla in primavera, e invece è germogliata all’improvviso a marzo riempiendomi di gioia (oddio, lo sapevo che non eri morta, là sotto!!), per poi esplodere in aprile, col vigore delle perenni. L’ho lasciata crescere, fiorire, fruttificare, senza interferire, e al secondo ciclo vegetativo, quello di questa primavera, è arrivato il tanto atteso momento dell’assaggio.

Primo assaggio che volevo fosse rigorosamente a crudo: quando la pianta si sarà rigenerata, la testerò anche da cotta. Un’insalata dunque, che ho voluto preparare con le ultimissime arance della stagione, le dolcissime Valencia di Gisira bio, e una pioggia di fiori di acacia, gioia di maggio, col loro profumo e dolcezza. Senza saperlo, ho scelto un abbinamento azzeccato: le foglie a crudo hanno un retrogusto amaro, delicato ma ben percepibile, che la dolcezza di arancia e fiori smorza più che bene.

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Riconoscere il Buon Enrico è piuttosto semplice: ha grandi foglie sagittate e carnose di un verde pieno, non lucido come gli spinaci coltivati, ma brillante, collegate al fusto da un lungo picciolo. Nella parte inferiore la foglia ha una patina biancastra, data da una specie di farina granulosa. Se avete partecipato a dei corsi di riconoscimento erbe con me in estate-autunno, o se in generale avete già avuto contatti con il farinello comune (Chenopodium album), avrete presente quella farina granulosa presente all’apice delle piante, caratteristica distintiva dell’erba. Ecco, nel Buon Enrico è sotto tutte le foglie, ancora più spessa e percettibile. Quando fiorisce forma delle spighe simili a quelle del farinello (appartengono alla stessa specie, quindi si somigliano molto), formate da tanti piccoli fiori verdognoli e poco appariscenti.
In vaso la crescita è un po’ più contenuta, ma in natura può raggiungere i 50 cm.

Contiene molti sali minerali, vitamina C e ferro, ma anche tanto acido ossalico, così come il farinello comune e lo spinacio coltivato, dunque non eccedete nel consumo in caso di predisposizione a calcoli e problemi renali.
Sul perché del nome Buon Enrico esistono diverse ipotesi, ma mi rifarò a quella riportata da Piante Innovative nella scheda dedicata alla pianta: “L’origine […] del nome di questa specie sembra risalire a Enrico VI di Navarra, re di Francia, il quale durante una carestia invitò i suoi sudditi a consumare tale erba, nutriente e abbondate nel territorio, salvandoli così dalla fame. Questo sovrano, benamato dal popolo per il suo buon carattere, divenne poi mecenate dei botanici.”

Vi state chiedendo se il mio pollice nero ha fatto dei progressi? Vi aggiorno brevemente:

  • Ho piantato del prezzemolo in vaso, a spaglio, coprendolo appena di terra. “Quante pianticelle sono germogliate!” mi ripetevo contenta tra me e me, dopo una ventina di giorni; “ci sarà da diradarle un bel po’, ma poi quanto buon prezzemolo fresco!”. Peccato fosse portulaca. Tutta. Piantine di prezzemolo: manco una. Quell’opportunista si è approfittata del terreno smosso e delle umide coccole a base di vaporizzazioni pazienti di acqua fresca che pensavo di riservare al prezzemolo per attecchire meglio che mai, nel vaso in cui forse era già presente l’anno prima, sempre ovviamente senza invito. Non lo ricordo con certezza, ma quasi sicuramente ho aggiunto poco terriccio nuovo al vecchio che era già nel vaso dall’anno prima e che doveva essere pieno di semi. Vabbè, almeno si mangia e mi piace pure un bel po’, come vi raccontavo qui.
  • Ho piantato pure del basilico, sempre da seme. Il mio piccolo progresso è che non lo semino più come se piovesse, ritrovandomi questi risultati qui, ma metto 3-4 semini a buchetta per poi lasciar crescere le piante migliori. Ci ha messo una vita a germogliare e ora ha messo le prime 4 foglie, ma mi sa che ieri ci ha scavato dentro un gatto, ed è seriamente compromesso. Staremo a vedere.
  • Ho seminato anche del peperoncino. Da un mese e mezzo. Non pervenuto. Vi pare normale?! I semi li ho ricevuti tramite uno scambio: un signore di Roma appassionato di giardinaggio è capitato sul post dedicato alla zucca cedrina già citato poco fa, e mi ha chiesto di spedirgli dei semi. Ha voluto ricambiare con del peperoncino giallo dell’Albania. Potevo non dare seguito con grande entusiasmo al mio primo scambio di semi per corrispondenza? Peccato che il peperoncino non stia collaborando a tutto questo.
  • Ieri è spuntato un germoglio di nasturzio, che ho piantato da una settimana in due grossi vasi. Ce la farà? Ho così voglia di assaggiarlo…
  • Nessuna notizia della Campanula rapunculus, piantata lo stesso giorno del nasturzio, sempre in vaso, a spaglio. Le dò ancora del tempo, mi sembra cortese.
  • Le più grandi soddisfazioni, come sempre, le sto avendo da chi fa da sé. In un vaso con dentro uno scherzo di terra smossa è germogliato il Papaver somniferum più grande di sempre, finalmente davvero adattato alla mia terra (anzi al mio terriccio), erede del papavero pugliese rubato rocambolescamente in un paesino a pochi chilometri da Otranto. Sta facendo dei fiori stupendi, davvero stupendi. Si è riseminato da sé per due anni, ora ne conserverò qualche seme, estraendoli dalle capsule più grandi. E poi: sta fiorendo una pianticella grassa di cui non so il nome, regalatami da un’amica almeno 4 anni fa, e trapiantata in un vaso insieme a un’agave regalatami da una delle prime allieve dei miei corsi, 6 anni fa. Entrambe non le ho mai considerate. Mai. Anche perché non sono una grande amante delle piante grasse e delle agavi, ma questo non mi giustifica. Sono in un angolo del mattonato adiacente la casa, alle intemperie, al sole cocente, al gelo invernale. Mai una goccia d’acqua. Mai una cura. E ora quella piccoletta sta fiorendo per la prima volta. Non ho parole per descrivere la tenacia e la resilienza di certe piante.

La ricetta è delle più semplici, che quasi non ci sarebbe bisogno di scriverla, ma eccola qui. Se non avete gli spinaci selvatici, usate gli spinaci coltivati, sarà buonissima ugualmente.
Leggete anche gli inserti in fondo alla ricetta, che ci sono tante informazioni utili: vi racconto qualche novità sul progetto Piante Innovative, vi parlo di chi le piante spontanee le coltiva di professione e vi dico due parole su chi ha prodotto queste deliziose arance.

// Insalata di spinacio selvatico Buon Enrico, arance e fiori d’acacia //

°° Ingredienti °°

  • un bel mucchietto di foglie e cimette di spinacio selvatico Buon Enrico (Chenopodium bonus-henricus)
  • qualche grappolo di fiori d’acacia
  • 2 arance
  • 3 cucchiai di mandorle
  • olio e.v.d’oliva
  • pepe nero macinato al momento
  • sale marino integrale
Insalata di spinacio selvatico Buon Enrico, arance e fiori d'acacia 4Private le foglie di Buon Enrico del picciolo, lavatele e asciugatele con una centrifuga, poi spezzatele grossolanamente con le mani o con un coltello e mettetele in un’insalatiera.
Insalata di spinacio selvatico Buon Enrico, arance e fiori d'acacia 4Sbucciate le arance, tagliatele a metà e poi a fette e aggiungetele alle foglie. Tostate le mandorle (ma anche no, se volete) in un pentolino d’acciaio a fuoco vivace per 3-4 minuti, agitandole spesso, poi tritatele grossolanamente e aggiungetele al resto.
Insalata di spinacio selvatico Buon Enrico, arance e fiori d'acacia 4Non lavate i fiori d’acacia, ma sgrullateli con delicatezza per lasciar uscire gli eventuali insetti. Separate i singoli fiori dai grappoli e aggiungeteli all’insalata, dopo averla condita e mescolata con sale, olio e pepe.

Altre informazioni utili

Insalata di spinacio selvatico Buon Enrico, arance e fiori d'acacia 4Le novità su Piante Innovative, dicevamo. La prima è che ora nello shop trovate anche gli oli essenziali prodotti da Sofia dalle proprie piante (come vi raccontavo anni fa, è proprio a un corso di distillazione che ci siamo incontrate) e, oltre ai tantissimi semi pronti per essere spediti, anche le piantine in vaso, da ricevere direttamente a casa vostra. Ironia della sorte, l’unica attualmente presente in catalogo è…la Salvia apiana, proprio quella salvia che ho già ucciso due volte. Mo’ che devo fare?! Sarà un segno del destino, devo riprovarci?
La seconda novità è che è uscito un terzo libro a firma Sofia Cerrano e Paolo Gullino, autoprodotto tramite l’associazione Natura Maestra, dedicato stavolta a come cucina le piante particolari che vengono coltivate e riprodotte nell’azienda agricola. Superinteressante, no? Si chiama Bizzarrie in Cucina e lo trovate nella sezione libri del loro shop.
La terza novità è che a Palaia, dove Sofia e Paolo vivono e lavorano al loro grande vivaio, ora c’è una iurta pronta ad ospitare tanti corsi interessanti. Sono stati sospesi per le ragioni che sappiamo, ma mi auguro riprendano anche per loro al più presto. Tenete d’occhio la loro pagina facebook.

Insalata di spinacio selvatico Buon Enrico, arance e fiori d'acacia 4Segnalo per ristoratori e strutture ricettive il bellissimo progetto di Caterina Cardia, in Val d’Orcia, che coltiva piante selvatiche nella sua azienda/ristorante La Buca Vecchia, tra Pienza e Montepulciano. E lei sì che ci sa fare, mica come me :). Ci siamo incontrate anni fa ad un’uscita tra Bagno Vignoni e il Monte Amiata guidata da Luigi Giannelli; da lì ci siamo incrociate varie volte e ho seguito i suoi passi, che l’hanno portata fino a qui.
La coltivazione è essenziale, se si vuole avere una continuità nelle forniture ai ristoranti; la raccolta spontanea è poco affidabile, le piante potrebbero non farsi trovare più negli stessi luoghi, alcuni pascoli potrebbero essere improvvisamente arati (ne so qualcosa), la stagione può sempre volgere a sfavore di alcune specie, che potrebbero non seguire la fase vegetativa abituale. Coltivare le selvatiche, da semi selezionati o raccolti a mano, permette di avere raccolti più affidabili e controllati, oltre a scongiurare il rischio di impoverire le colonie spontanee in natura, aspetto altrettanto importante rispetto alla continuità lavorativa.
Caterina è raccoglitrice da tanti anni e ha servito molti ristoratori, ma ora è davvero organizzata nel migliore dei modi. La Buca Vecchia è un piccolo angolo di paradiso in una valle che è essa stessa una delle più belle del mondo. La natura è florida, l’orto/giardino sinergico spettacolare, le serre ricchissime di specie edibili diverse, che non vengono soltanto spedite ai ristoranti altrui ma vanno anche ad alimentare il ristorante interno, l’Osteria delle Erbe, dove ho mangiato la scorsa primavera apprezzandolo davvero molto. La cucina è deliziosa e Caterina è un’ospite eccezionale, prodiga di parole, di sorrisi…e di semi :).
L’attività è giovanissima, ma ha già molto successo. Mi spiace davvero tanto che abbia dovuto subire, come tutti, questo stop improvviso, e proprio nel momento di maggiore attività (stiamo parlando di cucina con le erbe spontanee: il periodo marzo-maggio è oro!), ma sappiate che esiste e che riprenderà certamente a lavorare presto. Lo dico a chi vorrà andarci a mangiare (c’è una grande terrazza all’aperto) e a chi vorrà arricchire il menù del proprio ristorante con le erbe, fiori, frutti e radici di Caterina.

Insalata di spinacio selvatico Buon Enrico, arance e fiori d'acacia 4Dulcis in fundo…la dolcezza delle arance Valencia di Gisira bio. Valencia che sono succedute alle Tarocco e alle Navel ancora prima, in compagnia di avocado, limoni, pompelmi rosa. Tutto biologico e tutto coltivato in Val di Noto, in Sicilia. Devo ringraziare Antonella Gallino e il suo Considero Valore, con una mappa di produttori dettagliata e ben promossa attraverso articoli e contenuti vari sui social, se sono entrata in contatto con Angelo, con cui ho lavorato per rifornire MondoMangione di agrumi negli ultimi 4-5 mesi…anche durante il lockdown, con le invasioni di gente a fare la spesa e i corrieri persi chissà dove sulla strada tra Catania e Siena. Avere a che fare direttamente coi produttori è sempre una ricchezza, per la conoscenza della reale storia e percorso di un prodotto agricolo; stabilire un buon rapporto umano come in questo caso lo è ancora di più.
Gisira bio spedisce anche a privati e GAS, in tutta Italia. La stagione agrumicola è al termine e riprenderà in autunno, ma ci sono tanti altri prodotti di cui approfittare, come olio extra-vergine d’oliva (non so voi, ma io pur abitando in Toscana continuo a reputare gli oli del Sud assolutamente superiori), origano, capperi, mandorle, nespole, carrube.
P.S: Antoné, che sorpresa, mica lo avevo ancora visto il tuo sito personale, mi è uscito ora da google…bello! E bella tu :).

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