Agosto è nel vivo, la mezza estate si avvicina, tra caldo torrido e qualche salvifico acquazzone. Fuori il paesaggio sta cambiando, la natura si prepara a raggiungere il picco della sua maturazione, a disperdere i semi e a ridiscendere verso la quiete della terra più profonda, chiudendo un nuovo ciclo.
Le rondini sono volate via, da un paio di settimane. Sono uscite dal nido il 27 luglio, la luna piena e l’eclissi avrebbero dato bella mostra di sé quella notte stessa, e sembrano quasi averle chiamate fuori, aver detto ai piccoli che era tempo. Hanno iniziato a svolazzare dal nido al davanzale della mia finestra, poi hanno dormito nel nido un’ultima notte, durante la luna piena, e la mattina dopo hanno iniziato a volare davvero, gioiose e spericolate, facendomi commuovere come davanti al film più strappalacrime, per poi non tornare più se non per qualche breve visita nei 2 giorni successivi, lasciando un piccolo vuoto in giardino. Dove vanno le rondini, quando i piccoli iniziano a volare, prima di attraversare il deserto africano a fine estate?
Stavolta non esco per campi a raccogliere erbe selvatiche, mi basta gironzolare per il mio giardino. Con i tagli più o meno frequenti e qualche pioggia, le nuove erbe germogliano anche in agosto, tenere e saporite. È il caso del tarassaco e anche della malva, che quest’anno è più bella e vigorosa che mai, ovunque la incontri: oltre a regalare delle abbondanti fioriture, sembra anche riuscire a resistere alla ruggine che ho sempre visto macchiare le sue foglie, nel mio giardino e non solo. Se sapete dove trovarla, è decisamente l’anno giusto per fare un buon raccolto da essiccare e conservare, come vi ho raccontato qui. Allo stato selvatico sta già arrivando a fine fioritura, ma dove subisce sfalci continuerete a trovarne fiori e foglie belli e freschi.
In un vaso abbandonato a se stesso nel groviglio di rami secchi di Rincospermo, la portulaca è cresciuta abbondante. Ha uno strato di terra piuttosto sottile a disposizione, che non viene rinnovato o concimato da anni, e nessuno le dà mai acqua se non il cielo; eppure lei sta lì e cresce, bella, grassoccia in perfetta forma, come si nutrisse solo di luce e aria. Abbiamo potuto approfittare di qualche grande acquazzone, negli ultimi giorni, ma quando ho preparato questa ricetta non pioveva da almeno due settimane e il caldo era arrivato ad uno di quei picchi che luglio conosce molto bene; questo non mi ha impedito di raccoglierne cimette fresche e tenere e aggiungerle alle mie insalate, a questa in particolare. Non teme granché l’arsura, la portulaca, sembra anzi apprezzarla molto.
La portulaca (Portulaca oleracea) è un’infestante degli orti, dei vasi, dei giardini, dei luoghi sassosi, dei marciapiedi stradali, su cui forma, se lasciata fare, tappeti fitti e abbondanti (fatevi un giro in questo periodo a Roma sulla Prenestina, tra il Pigneto e Porta Maggiore, non faticherete a trovarne!). Si adatta ad ambienti diversi, ma in generale preferisce i luoghi frequentati dall’uomo. A fioritura si riempie di piccoli fiori giallo-verdognoli a 5 petali, che si aprono col sole pieno e si chiudono nel pomeriggio; successivamente produce una quantità enorme di semi, piccoli e neri, che sono racchiusi in delle specie di scrigni all’ascella delle foglie, che hanno come uno sportellino che lascia uscire i semi a maturazione: il suo nome deriva proprio dalla conformazione di queste capsule (portula = piccola porta). I semi mantengono la capacità germinativa per circa 20 anni, e si stima che gli esemplari più grandi e sviluppati ne producano circa 10.000. Vengono dispersi principalmente dalle formiche, il che permette alla portulaca di arrivare in piccole spaccature del terreno e lì germinare, quando trova le condizioni giuste (e se c’è da attenderle a lungo pazienza, 20 anni di quiescenza non sono pochi!).
Quando, nella nomenclatura binomiale latina delle piante, trovate un “oleracea” o “oleraceus” e simili come nome della specie, sarà quasi sicuramente una pianta commestibile, che è stata coltivata nel passato o anche nel presente. Olus, oleris vuol dire infatti ortaggio, e la nostra portulaca in particolare, che veniva già coltivata come verdura 2000 anni prima di Cristo nella Mezzaluna Fertile, viene tuttora appositamente riprodotta ad uso alimentare in alcune nazioni, come la Francia. Nelle nostre campagne, nella maggior parte dei casi, viene considerata solo un’erbaccia invadente (senz’altro lo è!) e indesiderata, di cui disfarsi con ogni mezzo necessario. E invece, come tante sue cugine, è ricca di virtù e spesso anche più buona e nutriente di altre piante coltivate negli orti da cui la si vorrebbe liberare.
Della portulaca si può consumare tutta la parte aerea, ossia foglie, fusti e fiori, sia crudi che cotti o anche messi sott’aceto, in salamoia o sott’olio. È molto ricca di vitamina C ed A, di calcio e potassio, di acidi grassi omega 3, di cui rappresenta una delle migliori fonti vegetali. È pure piuttosto ricca, però di acido ossalico, che può causare problemi renali in persone predisposte o se assunto in eccesso, quindi non bisogna eccedere nel consumo, soprattutto a crudo (e quando dico eccedere intendo ECCEDERE, non metterne qualche cimetta in insalata). Eleonora Matarrese, autrice del bellissimo La Cuoca Selvatica appena uscito per Bompiani che ho letto ultimamente e che vi straconsiglio (a parte qualche errore di collocazione delle piante nelle proprie famiglie botaniche) suggerisce di consumare crude le pianticelle più giovani e cotte quelle più grandi. Il sapore è gradevolmente acidulo, la consistenza tenera e succosa, è un’erbetta davvero buona. Si può usare cruda non solo nelle insalate ma anche in pesti e salse, o si può lessare leggermente e poi saltare in padella o condire con olio e limone. Altri elementi interessanti di cui la portulaca è ricchissima sono le mucillagini, che la rendono utile per addensare zuppe e creme. Le stesse mucillagini le conferiscono anche alcune delle sue proprietà officinali, in particolare quelle antinfiammatorie, emollienti, rinfrescanti, attive sia per uso interno che esterno. Ne ho parlato anche nel numero di luglio-agosto di Cucina Naturale, che trovate ora in edicola, dove nella mia rubrica mensile Vita in Campagna sfrutto le mucillagini della portulaca e le sue virtù antiossidanti per preparare una maschera per il viso e anche un colluttorio fresco, per lenire mucose e gengive; c’è anche la ricetta per metterla sott’aceto. A proposito di Cucina Naturale, per chi già ha acquistato l’ultimo numero e per chi lo farà, mi scuso per la foto che è stata inserita nell’articolo: una delle due (non quella in macro ma quella presa da lontano, in alto) non è assolutamente portulaca, ma non sono io a scegliere le immagini. L’ho fatto presente alla redazione e ci siamo accordati per un doppio controllo da ora in poi (era successo anche un annetto fa con la camomilla), quindi spero non ci siano più errori di questo tipo. Scusateci!
Per chiudere con le proprietà officinali, la portulaca è diuretica, antiscorbutica, coleretica (favorisce la secrezione di bile). Sandro e Maurizio di Massimo in Ritorno alle Radici edito da Aboca (molto molto consigliato anche questo, per quanto riguarda le schede delle singole piante: numerose, ricche e con bellissime immagini), ne descrivono anche degli usi rituali: pare venisse considerata una pianta benefica, utile per portare fortuna e allontanare il maligno. Si usava metterne un rametto sotto il cuscino per favorire un sonno sereno e pieno di sogni premonitori.
Pur essendo una pianta tipicamente estiva, potete iniziare a vedere i primi germogli di portulaca a metà primavera, la fioritura in alcune zone può poi iniziare già a maggio e si protrae fino ad agosto. La germinazione pare sia favorita dal passaggio di mezzi meccanici, che incidono i semi favorendo l’assorbimento di acqua, quindi vi sarà facile vederla spuntare in un nuovo orto, dove la terra è stata appena smossa e dove la pianticella tornerà poi ogni estate, e trovarla ai margini di campi coltivati (ma che siano coltivati in modo pulito, come vi dicevo qui). È molto liscia, assolutamente senza peluria tanto da essere chiamata anche, a livello popolare, porcellana; altro nome con cui la si conosce è porcacchia o erba grassa o ancora erba dei porci, dato che veniva usata molto per alimentare i maiali, oltre a conigli e polli. Le foglie sono di un bel colore verde brillante, che possono venarsi di magenta ai margini man mano che la pianta matura, i fusti sono rossiccio-violacei. Si trova dal livello del mare fino ai 1700 metri circa, soprattutto, come dicevamo, in luoghi antropizzati. Guardatevi, se volete, qualche altra foto qui.
E veniamo alla ricetta che volevo raccontarvi, semplice, fresca, nutriente. Di base è un’insalata di patate e pomodori, ma arricchita da ingredienti speciali, ossia le cimette di portulaca e un pesto di tarassaco e malva, di cui ho usato anche i fiori per decorare. Quasi ovunque la portulaca è già in avanzato stadio di fioritura, ma nel mio vaso è ancora giovane e tenera, continuo a cimarla e lei continua a ributtare. La adoro!
Le patate sono le novelle degli ortolani al di là del fiume, i pomodori sono quelli di Marcello; tra i tanti che coltiva ho scelto i cuore di bue, grandi, dal colore delicato e tendente al rosa e deliziosamente dolci. Potete sostituire le mandorle nel pesto con la frutta secca che preferite, come anche sostituire il timo limone con un’altra aromatica oppure ometterlo del tutto. Il pesto potete prepararlo anche solo col tarassaco, ma la malva smorza un po’ il suo amaro e lo rende più cremoso. Ovviamente, se non riuscite a trovare le erbe, potete condire il tutto con un classico pesto al basilico, ma almeno la portulaca cercate di reperirla, magari da qualche amico che abbia piante in vaso sul terrazzo o dai vostri produttori di verdure, se vi lasciano girovagare nei campi. Se non l’avete mai assaggiata è giunto il momento di farlo!
// Insalata di patate e pomodori con portulaca e pesto selvatico di tarassaco e malva //
°° Ingredienti °°
- 3 pomodori cuore di bue (o altre varietà)
- 500 grammi circa di patate novelle
- 2 manciate di portulaca
- una manciata di foglie tenere di tarassaco
- una manciata di foglie tenere di malva
- un cucchiaio di mandorle
- un piccolo spicchio d’aglio
- qualche rametto di timo limone
- olio e.v.d’oliva
- sale marino integrale
- fiori di malva per guarnire
Una bellissima ricerca. Grazie
Grazie a te cara, un abbraccio!
Buongiorno. Innanzitutto grazie per l’entusiasmo e la grande competenza con cui ci doni le tue esperienze di natura. Poi ti chiedo: tutti gli apporti benefici della Portulaca, una volta cotta, non è che vanno a ramengo? Ad esempio sappiamo che le vitamine le perdiamo, ma il resto? In particolare sono interessato all’Omega3.
Grazie ancora e buon proseguimento,
Luca
Buongiorno Luca e innanzitutto grazie a te, gentilissimo! Sì, la portulaca, come tanti altri frutti, verdure ed erbe, dà il suo meglio da cruda: la vitamina C è altamente termolabile, come anche gli Omega3. In parte credo che resti (come quando si cuoce il pesce), ma in parte va perso. Non a caso si consiglia anche di usare, ad esempio, l’olio di lino sempre a crudo, proprio per la stessa ragione, e addirittura di conservarlo in frigo. Io, personalmente, la portulaca la consumo sempre cruda, anche perché mi piace moltissimo!
È sempre un piacere leggerti!! Imparo un mucchio di cose sulla natura attraverso i tuoi post e messaggi. Sono sempre splendide perle. E anche molto molto buone Grazie di cuore!!
Vabbe’, Serenella, mi hai dato proprio un gran buongiorno stamattina…grazie di cuore a te, davvero!!
La revisione del mio libro è stata effettuata da un professore universitario nonché botanico.
La nuova classificazione APG è stata pubblicata due settimane dopo l’uscita del libro. Sarebbe così cortese da indicarmi binomiali e famiglia di appartenenza che, secondo Lei, sarebbero non congrui?
Grazie, un saluto,
E. Matarrese
Ciao Eleonora! Ti faccio con grande piacere i complimenti anche “di persona” per il libro, davvero splendido, adoro quando la narrativa si mescola così armoniosamente con la botanica e la cucina.
Non ho dubbi sulla serietà del lavoro, ci mancherebbe, e non sono una botanica ma una semplice studiosa e appassionata, quindi probabilmente sbaglio io: in particolare mi risulta che l’Achillea millefolium L., anche secondo la classificazione APG, faccia parte della famiglia delle Asteraceae e non delle Umbelliferae; un’altra famiglia che credevo errata è quella del Papaver rhoeas L., che mi risultava tra le Papaveraceae, ma mi rendo conto che, citando wikipedia, “Il sistema di Classificazione APG II colloca la famiglia [Papaveraceae] nell’ordine Ranunculales”, cosa che non sapevo.
Fammi sapere per favore se mi sbaglio sull’Achillea, mi è sempre stata indicata da tutti gli erboristi e botanici con cui ho studiato come un’asteracea, cosa che ritrovo in tutti i miei manuali, ma forse è cambiato qualcosa ultimamente e non ne sono a conoscenza. In ogni caso era solo un piccolo avvertimento per i lettori, invito sempre ad approfondire le notizie da più fonti, oltre i miei articoli, come personalmente faccio, sbagliando mille volte prima di chiarire i miei dubbi; che straconsiglio il tuo lavoro l’ho già scritto e lo confermo 🙂
Un saluto a te!
Vado a controllare subito poiché è indubbiamente un’Asteracea, sarà un refuso come il grassetto all’illustrazione della Plantago coronopus che era l’unico ad oggi che avevo individuato. Grazie, Eleonora
Sì, mi è subito balzata all’attenzione la stranezza nella descrizione generale, a pagina 95, dove viene descritta proprio come fosse un’ombrellifera, poi ho ritrovato il dato più avanti, nell’elenco dei fiori commestibili e mi è preso un colpo, ho cercato ovunque fosse possibile per capire se mi fossi totalmente sbagliata fino a quel momento, cosa che è già successa più volte, che di imparare non si finisce mai 🙂 Ma sono certissima che il libro vedrà altre edizioni, dove si potrà correggere il dato. Forse, se posso permettermi un consiglio da lettrice, in quell’occasione valuterei di rivedere la classificazione in famiglie per dargli maggiore uniformità: se si accorpano le papaveracee all’ordine delle ranuncolacee, presentandole quindi come ranuncolacee, a quel punto tecnicamente le tiliacee, che secondo l’APG sono malvacee, andrebbero anch’esse ridefinite, come anche le portulacacee, che rientrano nell’ordine delle cariofillacee. A me, da lettrice, vedere le papaveracee classificate come ranuncolacee ha messo un po’ di confusione, ma è stato di certo un’ottimo pretesto per approfondire il complesso argomento della classificazione botanica.
Grazie a te per i tantissimi spunti interessanti che ho trovato nel libro, buona serata!