Il mattino svela le trame nascoste tra le piante umide di rugiada, trappole precise ed eleganti o caotiche e disordinate, create ad arte per catturare insetti e sguardi. L’aria è fresca e leggera,
La bruma tenta di salvarsi dal calore del sole che si fa alto nascondendosi nelle piccole valli tra le alture, creando uno degli spettacoli più belli del paesaggio toscano, di quella Toscana che ha il mare lontano, ma sa ricrearlo con l’acqua evanescente delle nebbie, da cui spuntano come isole i poderi sulla cima dei colli.
La sera il buio arriva prima, mi sorprende tornando verso casa in bici, pedalando a fatica sulle gomme sgonfie. Respiro a pieni polmoni, col rosso del tramonto che scompare all’orizzonte e il rubino degli erigeri in seme che gli fa eco da quaggiù; l’aria sa di funghi, di terra umida, di buono.
Quando rispondo di no a chi mi chiede, durante una passeggiata di riconoscimento delle erbe spontanee, se so riconoscere i funghi, desto stupore come quando rivelo di non saperne granché di come coltivare le piante. Ma ecco, nessuno mi ci ha mai portata, a funghi, sono cresciuta al 90% cittadina e ho ancora tanto da imparare. Però mi affascina moltissimo quel regno a metà tra l’animale e il vegetale, so che con più tempo e risorse a disposizione prima o poi finirò anche a perlustrare boschi in tarda estate, dopo le piogge, a scrutare i movimenti dei corpi fruttiferi sotto le foglie secche e a riempire cestini. Per ore ne apprendo le magiche virtù, dalle mie letture, quel loro essere rete sotterranea a sostegno della vita, quel loro importantissimo ruolo di distruzione così essenziale alla creazione di nuova vita.
E compro funghi al mercato :). Non spesso come vorrei, ma almeno una buona mangiata ad ogni stagione me la concedo. C’è un banco al mercato di Sinalunga, in Valdichiana, dove quando è stagione si trovano sempre porcini bellissimi, come quelli che ho usato per la mia, tardiva, mangiata di quest’autunno, accompagnata da un buon vinello locale. Impasto ancora prima di uscire per andarli a comprare, poi tiro la sfoglia a mano e preparo le tagliatelle, il mio modo preferito di approfittare di queste delizie. Cuocio tutto, per farne anche altre preparazioni, ma lascio da parte il fungo più bello, da mangiare crudo, e gli cerco una buona compagnia il mattino dopo.
Pensare alla zucca viene subito automatico, marinata è così buona, e si associa ai porcini in molte ricette, complice anche la stagione che hanno in comune. E visto che a funghi ancora non ci vado, voglio unire una selvatica erbacea, quella sì raccolta da me. Mi piace mischiare parti e consistenze diverse in uno stesso piatto; in questo caso avevo già un fungo, un “frutto”…e ho aggiunto una radice, quella della scorzobianca, chiamata anche barba di becco, per i botanici Tragopogon porrifolius (Tragopogon pratensis è la varietà a fiore giallo, che ha gli stessi usi). Una pianta che regala, in primavera, una bellissima fioritura e infine il soffione più grande, spettacolare ed elegante dei nostri prati. È una pianta biennale o annuale, e in autunno è già possibile trovare molti esemplari giovani, che fioriranno poi durante il maggio-giugno successivo. Nel mio nuovo campo adottivo, che sto frequentando molto dopo l’infausta aratura del mio campo preferito, ne ho scovati molti, ed è la prima volta che mi capita di incontrarne una tale abbondanza. Non l’ho mai raccolta granché, perché la parte più prelibata è la radice, e non trovandola mai accompagnata da abbastanza sorelle attorno a sé ho sempre preferito lasciarla stare, ed estrarne il prelibato fittone solo occasionalmente per ragioni di studio. Così mi era sembrato anche ad un’occhiata fugace nel mio campo (è già mio, piano piano mi sto abituando :)), in cui mi pareva ci fosse solo qualche esemplare sparuto, invece nel tempo, osservando meglio, mi sono accortadi un’area in cui ce n’è davvero tanta. E così mi sto concedendo qualche sfizio e qualche sperimentazione.
Come vi ho suggerito per il cardo mariano nel mio ultimo articolo, scavate tutto intorno alla pianta con una paletta da orto, facendo spazio attorno alla radice fino che vedrete la parte più sottile in fondo: a quel punto estraetela con delicatezza torcendo un po’ la pianta. Vi ci vorrà molto meno impegno rispetto a quello che richiede il cardo, vista la dimensione esile della pianticella, comparata a quel gigante spinoso. Ma la scorzobianca è molto meno diffusa e infestate, almeno per mia esperienza qui in bassa Toscana, del cardo, quindi vi invito a usare la massima consapevolezza nella raccolta, da farsi solo se trovate abbondanza: una volta estratta la radice, una pianta non può riprodursi. E la barba di becco è così bella che privarsi della sua fioritura sarebbe un vero delitto.
Avrei fotografato anche le piante in terra, per farvene vedere l’aspetto, ma ha iniziato a piovere un po’ di più in questi giorni e soprattutto ho pensato bene di prendere a ginocchiate un panettone di cemento, quindi mi muovo un po’ a fatica su terreni irregolari. Vi rimando però alla scheda su actaplantarum, dove è ben fotografata ogni parte. Come vedete, le foglie della rosetta, prima che si inizi a sviluppare lo stelo, sono sottili, schiacciate a terra e molto allungate, come a disegnare una grande e brillante stella verde. Occhio però che quando si ritrova circondata da piante più esuberanti, tende ad alzare un po’ le foglie da terra, per guadagnare luce. Anche le foglie sono commestibili, crude o cotte, come pure gli enormi boccioli a punta di primavera. Le foglie le ho usate per un’insalata di patate, vi consiglio di tritarle abbastanza finemente, perché tendono ad essere leggermente fibrose. Hanno un sapore delicato, leggermente acidulo.
La radice è deliziosa, ricca di inulina, delicata e croccante. Si mangia soprattutto a crudo, essendo una delle più buone radici commestibili, ma può essere anche cotta.
Se non trovate la scorzobianca, questo carpaccio sarà buono anche senza, vi basteranno i più reperibili porcini e zucca. Qui ho usato una hokkaido, ma scegliete la vostra varietà preferita o quella che avete disponibile. Un’altra immancabile aggiunta selvatica è la nepitella (Clinopodium nepeta, ex Calamintha nepeta), che in Toscana si abbina molto spesso coi funghi, come nel Lazio, dove però viene chiamata “mentuccia”. Mi piace anche per questa ragione, questa deliziosa aromatica: non solo perché cresce generosa, perché ha un profumo inconfondibile e intenso, perché ha una fioritura allegra e prolungata, ma anche perché unisce, nella sua tipicità, la mia regione natìa con quella adottiva.
Prima di lasciarvi alla ricetta, vi ricordo l’appuntamento per l’ultimo corso dell’anno, stavolta senza erbe selvatiche di mezzo: sabato 9 novembre prepariamo la pasta fresca con i grani antichi al Podere Pereto, dalle 10:00 alle 17:00, con pranzo insieme e qualche preparazione da portare a casa. C’è tempo per prenotarsi ancora per una settimana, fino a giovedì 7, ma prima lo fate, più siete sicuri di trovare posto. E noi ci organizziamo meglio ;). Tutti i dettagli li trovate nella scheda sul sito del Pereto, dove c’è anche il link per prenotare con più informazioni, nella mia pagina dedicata ai corsi, nell’evento su facebook.
A presto!
// Carpaccio di porcini, zucca e scorzobianca, al profumo di nepitella //
°° Ingredienti °°
- 1-2 grossi porcini freschi
- uno spicchio di zucca hokkaido, o altre varietà
- 2 radici di scorzobianca (Tragopogon sp.) + foglie per decorare
- il succo di un limone
- qualche rametto di nepitella (Clinopodium nepeta)
- olio e.v.d’oliva
- sale marino integrale




che meraviglia!
Grazie Adriana!!