Mi capita di indulgere un po’ troppo nel letto, quando l’estate è nel vivo. Mi riduco a portare fuori Urano quando il sole è già al mezzogiorno, le campane suonano tutte insieme e l’ombra sotto le palazzine del paese si assottiglia. Se conoscesse il risentimento, me la farebbe pagare per queste uscite mattutine così tardive, ma nonostante non faccia parte delle sue emozioni trovo comunque sempre il modo di farmi perdonare, con lunghe corse (lui, io tiro la palla e lancio grida di incitamento :)) all’ora del tramonto.
Queste uscite tardive sono costretta a farle in paese, che nei campi ombra non ce n’è, nei vicoli più ombreggiati e in alcuni tratti del sentiero un po’ dissestato che corre tra le case e il torrente. Quello stesso sentiero che in giugno mi ha regalato gli splendidi papaveri da oppio, stavolta mi ha regalato un’altra selvatica che ho potuto osservare per la prima volta, dopo averla sentita tanto nominare: la dulcamara (Solanum dulcamara), pianta velenosa ma affascinante, come tante solanacee che crescono in questo periodo e più avanti (lo splendido stramonio, per dirne una). Ha fiori che ricordano quelli della patata e del pomodoro, ma con petali viola-lilla e pistillo giallo carico.
L’ho trovata, questa bella rampicante, aggrovigliata ad un completo caos verde, abbondante e vigoroso grazie alle tante piogge primaverili, all’umidità del sentiero e al caldo non eccessivo. Le foglie sono tenere e brillanti, dalla forma molto particolare, come decorata dalla mano di un artista, e hanno un odore intenso, lì per lì sgradevole ma poi attraente, che rilasciano sulla pelle se le si strofina con le dita e che a me ricorda un po’ il tabacco, altra solanacea. Ad un’amica che ho portato a vederla ha ricordato invece l’odore dei popcorn, in particolare dei chicchi che restano sul fondo, inesplosi. I frutti sono simili a quelli del Solanum nigra, la diffusissima erba morella, ma più grandi e molto più allungati ad assumere forma ovale. Sono ancora verdi, ma a maturazione diventeranno di un bel rosso chiaro, simile a quello di alcuni frutti di bosco come i ribes e invitante, dunque pericoloso per bambini troppo curiosi, che vanno sempre educati a raccogliere solo ciò che conoscono con certezza assoluta.
Luglio è il momento della dulcamara ma pure delle artemisie alte e profumate, dei verbaschi, delle carote selvatiche in fiore, del mare turchese delle cicorie. È il momento dei semi di alcuni cardi, anche, del cardo mariano in particolare, che li ha già maturati da diverse settimane. Come per i fiori o per le foglie, la raccolta non è mai semplice, con un guerriero che sa difendersi così bene anche quando è ormai completamente secco. Cercate delle piante basse o allettate dal vento e dalla pioggia, afferrate i fiori dall’involucro laterale superiore più morbido, tagliate via il capolino dallo stelo e mettetelo in un cestino, evitando di maneggiarlo dalla parte inferiore. Una volta a casa, tagliate via la parte esterna il più possibile, in modo da lasciare solo il pappo, quella parte che ricorda il soffione del tarassaco, e la base del capolino senza le spine. Ora potete smucinare nel soffione e spezzettarlo per trovare i semi attaccati alla base, da separare da tutte le altre parti del fiore. Lasciateli seccare ancora un po’ all’aria, poi conservateli in un vasetto di vetro al buio e usateli in cucina macinati, tritandoli al momento con un macinacaffè, oppure in decotto, nella dose di un cucchiaino per tazza d’acqua, da inserire a freddo per poi portare l’acqua a bollore, far bollire 5 minuti e lasciare infine in infusione a fuoco spento per altri 15 prima di filtrare.
I semi di cardo sono degli eccezionali depurativi del fegato, ve ne parlavo già lo scorso inverno qui, quando vi ho raccontato per la prima volta di questa pianta splendida, che è ben lontana dall’esaurire i suoi argomenti. Non solo lo depurano, ma lo tonificano, ne favoriscono le funzioni e sono ricchi di antiossidanti attivi a livello epatico e non solo, portando di conseguenza benefici a tutto l’organismo.
Ne ho raccolti un po’, e ne ho subito macinati una parte da mettere in una ricetta che ho improvvisato qualche giorno fa, per rimediare ad un errore di cottura dei fagioli. Sì, perché ho comprato una bella cassettina di fagioli freschi da Marcello che però mi sono un attimo dimenticata sul fuoco, stracuocendoli. Siccome non è che sia proprio periodo di zuppe dense e fumanti e di vellutate, li ho schiacciati per bene e li ho impastati insieme alla quinoa per farne delle polpette. Una quinoa italianissima, romagnola per la precisione, che attendevo di trovare da un bel po’, da quando una volta anni fa ho letto di quanto bene questa pianta fosse in grado di adattarsi ai nostri climi. Mi ero detta allora che se avessi potuto in quel momento dedicarmi all’agricoltura, ne avrei sicuramente seminata, per sviluppare la possibilità di poter consumare questo seme eccellente senza farlo viaggiare così a lungo e senza che popoli lontani debbano privarsene per farla arrivare qui. Non lo so bene come funzionino davvero le cose laggiù, è difficile ormai trovare informazioni obiettive su qualsiasi questione: so che ci sono dei buoni circuiti garantiti di commercio equo, ma arrivano anche notizie di sovrasfruttamento della terra, di prezzi troppo elevati per il consumo locale, di monoculture tutte destinate all’esportazione. Da qualche anno non la uso se non in rare eccezioni con quella di Altromercato, che tanto di cereali buoni ce n’è senza andarseli a cercare così lontano. Sapevo che in Francia c’era un progetto di coltivazione, gli ho anche scritto anni fa, ma mi hanno risposto che si stavano dedicando al mercato nazionale. E poi ci ha pensato Quinoa Romagna ad iniziare a farlo qui, prendendo i semi in una zona costiera del Cile, con caratteristiche il più possibile simili al litorale di Ravenna, e partendo con la semina, in biologico (la certificazione non è ancora attiva, a causa dei tempi tecnici di attesa). Li ho contatti per un rifornimento per la bottega, di cui poi ovviamente ho approfittato anche io. L’esperienza è al terzo anno e sembra procedere bene, la quinoa è buonissima e, prendendo il formato più grande, anche più economica di quella bio e da commercio equo che arriva dall’America Latina. Ho poi scoperto che esistono altre reti di sperimentatori, come quella che fa capo al progetto maremmano TuttoQuinoa, che ha un sito, diffonde le sementi e pubblica resoconti di test ed esperimenti colturali; leggete ad esempio qui il resoconto delle prove in campo aperto della scorsa estate, che dimostrano come la quinoa resista tutto sommato bene sia alle gelate tardive che alla siccità. Lo dicevo io! 😉
L’ispirazione della salsa me l’ha data Francesca qualche settimana fa, che con i peperoni gialli ha preparato un gazpacho. Io ne ho fatta una versione decisamente più essenziale da usare come salsina di accompagnamento, aromatizzandola con un po’ di menta e con il pepe di Sichuan che i miei mi hanno portato questo inverno al ritorno da un viaggio in Cina. Non l’avevo mai usato in cucina, ha un sapore incredibile! La salsa che avanza potete usarla per condire l’insalata, la pasta, piatti a base di cereali freddi o verdure a vapore o appena scottate.
// Polpettine di quinoa italiana e fagioli freschi ai semi di cardo su salsa di peperoni arrosto al pepe di Sichuan //
°° Ingredienti °°
- 150 grammi di quinoa (per me romagnola)
- 420 grammi di fagioli freschi chiari già cotti
- una zucchina
- un cipollotto
- 1-2 cucchiaini di cumino in polvere
- 2 cucchiaini colmi di semi di cardo mariano
- 2 cucchiai rasi di polvere di ortica
- un peperone giallo
- un cucchiaino di pepe di Sichuan
- un mazzetto di menta fresca
- olio e.v.d’oliva
- sale marino integrale
- facoltativo: pangrattato
Sono felice di averti “contagiato” con questo giallo, dal sapore “peperonoso” e un po’ dolce! L’idea del pepe di questa qualità mi piace, pensa che lo misi in una composta di pesche, anni fa!
Le polpette sono l’allegria nel piatto, basta vederle, di qualsiasi natura e grandezza siano… e subito nasce un sorriso, forse perchè le leghiamo a cibi d’infanzia preferiti! Quanto mi piace formare le palline con le mani, anche qui ci deve essere un retaggio di Pongo o di sabbia da plasmare… 😀
Mmmm, da provare in una confettura, ora poi è proprio il momento buono…e so già che lunedì dal lavoro dovrò portarmi via tante buonissime pesche troppo mature, potrebbero finire dritte in pentola con qualche bacca rossa macinata. Grazie dell’ispirazione e viva le polpette 🙂