Mi è capitato diverse volte, durante i miei corsi sul riconoscimento e l’utilizzo delle piante selvatiche, che qualcuno dei partecipanti, a tu per tu durante qualche pausa nel mezzo della passeggiata o del laboratorio, mi chiedesse come occuparsi di tal pianta ornamentale del suo giardino che stava deperendo o come fronteggiare il male oscuro che affliggeva i suoi amatissimi fagiolini. Oppure quali fossero i metodi migliori per coltivare, che so, i nasturzi o per far germinare i capperi. Probabilmente si dà per scontato che una persona che nutre un amore e un interesse così profondo per erbe e frutti spontanei sia anche un fenomeno nella coltivazione e cura delle orticole, degli alberi da frutto, di fiori e siepi ornamentali e di tutte le forme vegetali allevate dagli uomini a partire dagli albori dell’agricoltura.
Ebbene no. E lo dico mio malgrado, anche se chi già mi segue da un po’ conosce benissimo la verità: sono un dannato pollice nero. L’equazione studiosa-e-raccoglitrice-di-piante-spontanee = contadina modello non ha alcun fondamento, ahimè. Certo è che l’equazione sia assolutamente possibile e che, anzi, spesso si realizzi, ma non nel mio caso. E allora agli avventori che mi pongono la domanda, spiego semplicemente che sono di certo in grande sintonia con tutto ciò che cresce da sé, senza alcun bisogno dell’intervento umano (di quello diretto, per lo meno), ma che sono una vera frana con tutto ciò che necessiti di cure da parte mia per sopravvivere. Non che non sia in grado di curarmi di chi amo, anzi, forse a volte lo faccio anche in eccesso, ma con le piante proprio non mi riesce.
Ma questa non è certo una condanna! Posso farcela anche io, lo so! Perché mi affascina moltissimo tutta quell’altra parte di mondo vegetale che prospera grazie a noi, che è stata selezionata dalle nostre mani nel corso dei secoli per nutrirci, inebriarci, addolcirci e, come in una tacita reciprocità, prendersi cura di noi da tanti punti di vista: con la bellezza (ma cos’è un bel giardino fiorito, quale balsamo per l’anima?), coi profumi, i poteri curativi, le sostanze nutrienti.
Ho trovato un sacco di scuse negli anni per non iniziare a dedicarmi a orto e giardino. La principale era che non avevo una casa mia. Non necessariamente nel senso di proprietà, che non ho mai granché perseguito come obiettivo, quanto nel senso di una casa che sentissi mia e in cui sentissi di poter stare a lungo. Quando sono andata via da Roma mi sono spostata molto nel primo periodo, 15 traslochi in 3 regioni diverse nel giro di 3 anni. Sono arrivata nella mia casa attuale con l’idea che sarei durata poco anche qui, l’avevamo scelta un po’ in fretta e furia, che dall’altra dovevamo andarcene con l’arrivo della bella stagione, per lasciare il posto agli affitti turistici. E così sono vissuta qui con un certo senso di precarietà: non ho mai appeso quel quadro, non ho mai fissato quella mensola, non ho mai piantato quei semi di echinacea a terra, non ho mai progettato un vero orto. E nel frattempo sono passati 6 anni, e io sono ancora qui.
So che non ci resterò per sempre, ma questa non è una giustificazione per continuare a rimandare certe esperienze. Perché di esperienze si tratta, non di fare subito l’orto perfetto. Quale posto migliore per iniziare a sbagliare di quello in cui già ci si trova? Quando poi si arriverà altrove, si avrà già un bel bagaglio di prove, successi (pochi) e cadute (tante!) da cui partire per fare meglio. E in ogni caso chi l’ha detto che quei fiori di echinacea debbano essere per me? Perchè mai dovrei essere così egoista da non lasciarli nemmeno nascere nell’incertezza di poterne poi godere o meno? Ricordo quello che scriveva Michael Pollan in Una Seconda Natura: quando si pianta un grande albero, si sa benissimo che non lo si fa per sé stessi, che non si sopravviverà abbastanza a lungo per vederne il pieno sviluppo, per goderne all’apice del suo splendore, per ripararsi sotto la sua grande ombra fresca. In fin dei conti, lo si fa per amore. E potrebbe essere lo stesso con i fiori, con un cespuglio di aromatiche o con un arbusto di lamponi.
E allora da un po’ di tempo è cambiato qualcosa. Ho salvato una piantina di elicriso dal deperimento in un luogo ostile, chiuso e senza luce, e l’ho messa a terra in giardino, vicino al cancello d’ingresso. Quest’estate è fiorita per la prima volta. Ci ho provato anche con un rosmarino, era messo davvero male poverino, ma ho dimenticato di proteggerlo e il mio padrone di casa l’ha tranciato via col tosaerba poco dopo il trapianto, non si è più ripreso. Ho programmato la prossima messa a terra di un lampone, tenuto in vaso nell’ottica di portarlo via, un giorno, in un futuro trasloco. Non ho ancora piantato i fiori, ho perso il giro questa primavera. Ma ho iniziato un orto.
Abbiamo iniziato, a dire il vero, io e il mio compagno. E’ passato un anno, era la seconda metà di agosto del 2016. Sì, l’orto invernale non dà così facilmente le soddisfazioni di quello estivo, l’avevamo sentito dire, ma ci è venuta voglia di provarci in quel momento e da lì siamo partiti, senza rimandare ancora. L’abbiamo progettato un pochino, prima, abbiamo comprato libri, abbiamo girato in rete, abbiamo deciso come procedere, in che parte del giardino farlo e cosa piantare. Abbiamo raccolto mucchietti di paglia rimasti nel campo vicino casa dopo la mietitura del grano e la raccolta delle balle e le abbiamo sparse sul terreno in una spessa pacciamatura (lasciando la mia macchina in condizioni pietose). Abbiamo comprato delle piantine in un buon vivaio bio vicino Siena e le abbiamo trapiantate, poi le abbiamo innaffiate quando serviva, aspettando le piogge autunnali. Che sono arrivate. E con loro le lumache.
Ebbene, quelle minuscole lumachine, centinaia di minuscole lumachine, si sono mangiate praticamente tutto. Il punto del giardino che abbiamo scelto era forse troppo in ombra in quel momento dell’anno e le piante, trapiantate un po’ troppo tardi rispetto al necessario, sono cresciute molto poco, cosicchè erano ancora troppo giovani e deboli quando le fameliche sono partite all’attacco. Cavoli neri, verze, cavolfiori, cavoli cappucci e romaneschi, poco o nulla si è salvato. Due cavolfiori hanno ributtato, ma hanno fatto dei fiori piccolissimi, che sono poi marciti prima di crescere. La verza, l’unica verza, era piccola e molle, così l’ho lasciata fiorire: è bellissima. I porri sono rimasti in piedi, ma erano minuscoli e tutti bucherellati, immangiabili; i radicchi non sono cresciuti; i finocchi sono stati rasi al suolo nel giro di una settimana, per non ributtare mai più; la rucola e il prezzemolo, gli unici che abbiamo seminato invece di trapiantare, non sono mai nati. Siamo riusciti a mangiare qualche manciata di cime di rapa e 6-7 piccoli cespi di scarola.
Vabbè, ma con l’estivo andrà meglio, no?! E vai con l’orto estivo, proviamoci! E devo dire che, tirando le somme, qualche piccola soddisfazione in più me la sta dando. Per lo meno le piante sono cresciute, pur senza grande espansività, diciamo che il tutto da lontano sembra un orto. Da vicino però si nota la crescita un po’ stentata di certe piante, e da ancora più vicino, ossia dal mio punto di vista quotidiano, si notano tante altre cose che non vanno. Tipo che da due piante di peperone ho ricavato un unico e solo frutto (e non se ne intravedono altri all’orizzonte); che da 7 piante di pomodoro non mi riesce di tirare fuori un’insalata, tanto è bassa la produzione; che le zucchine mature sono poco più lunghe del mio dito indice; che il cetriolo, probabilmente, ha certe esigenze da rispettare, se è deperito così miseramente facendo marcire i frutti appena nati, tanto da preferire sradicarlo e lasciarlo come pacciamatura anziché prolungarne la sofferenza.
Insomma, viene quasi voglia di smetterla di innaffiare (che l’acqua è davvero preziosa quest’anno e l’orto ha continuamente sete, con questa siccità pazzesca), per quel poco o niente che siamo riusciti a ricavare finora. Se devo tirare le somme, però, mi rendo conto che in fondo in fondo va bene così e che ho imparato davvero un sacco di cose da questi primi insuccessi contadini.
La prima sta nel metodo. Inizialmente, dopo l’avida lettura di Agricoltura sinergica di Emilia Hazelip e la Libera Scuola a lei dedicata, volevamo orientarci in quella direzione, ma non avevamo voglia di fare i bancali, per diverse ragioni logistiche. Poi mi è capitato tra capo e collo il manuale di Gian Carlo Cappello, La civiltà dell’orto, che altro che metodo del non fare, di più!! Secondo i suoi insegnamenti, applicati con successo in molti orti da nord a sud, il terreno non si lavora nemmeno la prima volta: si falcia il prato con erbe spontanee, gramigna e tutto, si stende su uno strato di 20 cm di fieno, si semina o si trapianta. Fatto. Il metodo per noi!! Più che altro perché nel suo libro raccontava l’esperienza fatta in un giardino pubblico siciliano: terra poca e piena di calcinacci, prato spontaneo e calpestato, pieno di erbacce resistenti, assenza di lavorazioni precedenti, una situazione che trovavavamo molto affine alla nostra.
Oh, non vi potete immaginare che fatica scavare una buchetta per trapiantare piccole, tenere pianticelle in quel terreno: è duro come il marmo, e ben serrato in un groviglio fittissimo di rizomi di gramigna. Eppure ne ho scavate, la scorsa estate e poi la scorsa primavera, ma non credo lo rifarò. Forse sono io ad aver applicato male il metodo (ci sta, visti i miei precedenti!), ma non credo sia quello adatto a questo tipo di terreno. Non sto a dirvi perché e per come, che mi sto già dilungando un po’ troppo, ma la mia esperienza non è stata affatto positiva. Tuttavia, mi sento di consigliarvi il libro di Cappello: è pieno di spunti interessanti per un nuovo modo di coltivare che potrebbe anche avere successo per voi e che è estremamente rispettoso dell’equilibrio naturale della terra. Non escludo di tornare in quella direzione, in futuro, ma adesso ho bisogno di provare altro.
Se siete dei neofiti come me c’è un altro libro che vi consiglio ancora di più, che ho appena divorato mentre constatavo la parziale ma consistente disfatta del mio primo esperimento estivo. Trattasi di L’orto naturale for dummies, della bravissima Grazia Cacciola – Erbaviola, edito da Hoepli nella famosa collana For dummies, che letteralmente vuol dire “per negati”. E se si parla di negati nella gestione di piante coltivate di qualsiasi tipo, l’avrete capito, eccomi qua.
Ho sempre apprezzato Grazia per il suo modo di scrivere, di raccontare, di spiegare le cose: sa essere estremamente chiara e precisa nel passare concetti e saper fare restando al tempo stesso perfettamente accessibile a qualsiasi lettore, mai troppo tecnica o di difficile comprensione. In più, in particolare nel suo longevo e ricchissimo blog erbaviola.com, sa aggiungere e dosare una buona e sana dose di ironia che rende sempre la lettura davvero piacevole.
Di manuali al suo attivo, pubblicati da diverse case editrici, ne ha già parecchi (potete trovarne una lista completa qui): personalmente ho già letto il suo bestseller Scappo dalla città – Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione, oltre a ricettari come Formaggi veg e il recente Orto e cucina, da cui ho già preso ispirazione per il mio erbazzone di primavera.
In L’orto naturale ci sono un sacco di cose utili ai principianti: si parla di progettazione dell’orto, preparazione del terreno, fertilizzazione naturale, compost, delle principali tecniche di agricoltura naturale oggi applicate (biologico, biodinamico, sinergico e permacultura), di semine, trapianti e di molto altro. Ci sono consigli pratici per qualsiasi situazione, dall’orto sul balcone a quello familiare in piena terra fino ai grandi orti sociali. Ci sono illustrazioni chiare e utili realizzate dall’autrice stessa e schede complete per le principali piante orticole, con tutto quello che c’è da sapere dalla semina alla raccolta.
L’ho adottato come mio manuale preferito sull’argomento. Devo dire che mi sono sentita un po’ sperduta nella lettura di Agricoltura Sinergica, mi è parso che desse per scontate troppe cose che per me scontate non sono. Non ho avuto questa sensazione col libro di Grazia, che non ha lasciato grandi lacune da colmare a livello di comprensione preliminare, nulla che non si possa (anzi, che non si debba) poi colmare con l’esperienza diretta.
Credo che per il prossimo autunno (e sono già in ritardo) ricomincerò dalle basi, sperimentando qualche cavolo in vaso, cercando di dargli tutte le cure possibili, un buon terreno e il giusto nutrimento. Ricomincerò a fine inverno con l’orto in piena terra, se avrò ancora spazio a disposizione.
Se intanto dovessi ricapitolare cosa ho imparato, finora, dalla mia personale esperienza con l’orto, vi direi:
1. Anche seguendo metodi che prevedano meno lavorazioni e meno interventi sull’orto, bisogna averne cura. Dedicargli attenzione ogni giorno, passare a guardare come crescono le piante, se è comparso qualche parassita, se c’è qualche necessità da soddisfare. Questo vale anche per le piante in vaso, forse ancor di più: la terra a disposizione è inferiore, di conseguenza anche la riserva idrica.
Insomma, forse l’orto non vuole l’uomo morto, ma l’uomo attento e amorevole sì.
2. Se si osserva qualcosa di cui è necessario occuparsi, come una parassitosi o una mancanza d’acqua, bisogna occuparsene subito, non domani (che poi diventa dopodomani e il giorno dopo ancora, fino pure a una settimana, e intanto quell’esercito super-addestrato di insettini neri minuscoli ha raso al suolo la tua unica pianta di rucola che stavi cercando disperatamente di far crescere in vaso lasciandola fiorire e spargere semi qua e là in giardino, nella speranza che lo colonizzasse).
3. Bisogna occuparsi del terreno, prima ancora di iniziare i lavori di semina e trapianto. Personalmente, la prossima volta farò una lieve lavorazione superficiale, per rendere più semplici ed efficaci semine e trapianti, rendere il terreno più soffice e permettere alle piante di allungare bene le radici nella terra, cosa che non riescono forse a fare in un terreno troppo duro e compatto, dando di conseguenza pochi frutti, piccoli e poco saporiti. Gli darò nutrimento, anche, con macerati vegetali, compost e/o cenere di legna.
Può darsi che, come dice Cappello, basti pacciamare il terreno con uno spesso strato di fieno, integrandolo man mano che ricrescono le erbe spontanee da sotto, ma credo vada fatto con larghissimo anticipo, per lo meno in casi simili al mio: ho letto di persone che tengono il terreno coperto un anno intero, prima di iniziare ad utilizzarlo; in questo modo si ammorbidisce, resta umido e si favorisce la formazione di un ricco strato di humus in modo naturale.
Quello che ho osservato nel mio orto invernale, e che mi ha lasciata davvero strabiliata, è quanto più grandi, forti e rigogliose crescano le erbacce sul pezzo di terreno pacciamato. Non c’è paragone col resto del giardino, c’è una differenza impressionante, che si nota anche da lontano. Succede anche ora, con l’orto estivo, ma innaffiando tutti i giorni è difficile avere un paragone sincero col resto del prato, assetato dalla siccità. In inverno però non ho innaffiato mai, raccogliendo in assoluto il più bel tarassaco della mia vita, nell’orto pacciamato. Ovviamente solo le erbacce se la godevano in quel contesto, le orticole, invece, un vero disastro (incredibile quanto siano più forti e vigorose le spontanee rispetto alle orticole, ci ho fatto caso quest’estate: le piante dell’orto dopo un giorno senz’acqua sono già moribonde, le selvatiche possono andare avanti mesi nello stesso giardino, senza che nessuno se ne curi). Insomma, la pacciamatura sembra fare davvero gran bene al terreno, alla sua fertilità e produttività.
4. Predisporre sempre dei supporti adeguati per le piante che ne necessitino, come pomodori o fagiolini, prevedendo la loro crescita futura; se ci si accorge di averla sottovalutata, correggere il tiro sostituendo i supporti con altri più alti. Io ho dato ai miei pomodori dei supporti ridicoli, col risultato di non riuscire a sostenere a pieno la loro crescita, ritrovandomi le cime cariche di frutti spezzate dopo 2-3 giorni di forte vento. Essendomi comportata in modo decisamente contrario ai punti 1 e 2, non ho sostituito prontamente i supporti e me la sono presa nel…non fatemi essere volgare.
5. Stare attenti a come si eseguono i trapianti: solitamente gli ortaggi hanno esigenze diverse riguardo all’interramento del colletto (Grazia nel suo manuale dà indicazioni in merito per ogni singola pianta), che vanno seguite per evitare di ritrovarsi, come è capitato a me con alcuni cavoli e anche qualche anno fa con dei pomodori in vaso, con le radici in parte scoperte e conseguente sofferenza della pianta.
6. Che l’orto vuole attenzione e cura e che non bisogna rimandare gli interventi l’ho già detto?
7. Non appena si nota che le lumache iniziano ad essere troppe, prendere provvedimenti. Non col lumachicida, per carità, in rete è pieno di consigli riguardo a rimedi naturali per allontanarle dall’orto. Io lo scorso autunno ho confidato nelle parole di Cappello (che tra l’altro ben si accordavano con la mia pigrizia), che sostiene nell’ecosistema equilibrato di un orto naturale le lumache non diventeranno mai troppe e saranno anch’esse utili, così le ho lasciate fare, col risultato di dare loro in pasto la quasi totalità delle mie piante. Di certo sono io ad aver avuto le mie mancanze, ma non credo le lascerò fare ancora, la prossima volta.
8. Non è reale l’assunto per cui qualsiasi cosa si coltivi da sé è più buono di ciò che si compra. La mia esperienza ne è la prova. Continuo a preferire di gran lunga le verdure di Lucy e Marcello, ma pure, addirittura, quelle della Coop: i miei pomodori, ad esempio, non sono abbastanza dolci e hanno un’acidità troppo marcata, le melanzane sono troppo amare, le zucchine poco saporite. Di certo basta poco per migliorare e ottenere risultati migliori anche in termini di gusto, ma per adesso è andata così.
9. Proprio ieri il mio compagno, leggendo la bozza di questo post, mi ha suggerito un nono punto, che mi trova decisamente d’accordo. Si tende sempre a seguire un metodo per filo e per segno, ed è inevitabile che a quel punto qualcosa non funzioni. L’esperienza personale, insomma, vale più di qualsiasi metodo, anche del migliore, per quanto all’inizio sia necessario e naturale lasciarsi ispirare dagli altri. È giusto abbeverarsi dalle fonti altrui, ma poi è necessario seguire la propria testa e il proprio istinto, che ci guideranno nella particolare situazione in cui ci troviamo a lavorare, la nostra, che è diversa da quella di qualsiasi altro. Osservare, comprendere, agire di conseguenza: in fondo è ciò che ha fatto anche l’agricoltura sinergica partendo dagli insegnamenti di Fukuoka, preziosi a livello filosofico, ma spesso impraticabili nel clima europeo. E che allo stesso modo hanno fatto tanti altri seguendo l’agricoltura sinergica per poi constatare che la costruzione dei bancali è soltanto un’inutile fatica, opinione non condivisa da tutti ma ormai abbastanza diffusa. Per riassumere: imparare dagli altri e fare di testa propria dovrebbero andare di pari passo. Non è sempre facile, ma si può fare.
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Di libri vi ho già parlato; se volete intanto partire da qualche lettura in rete, vi rimando senz’altro da Erbaviola, che ha una ricca sezione dedicata all’orto, la trovate qui. Su Il Pasto Nudo Sonia racconta i suoi esperimenti, successi e insuccessi nell’orto sul terrazzo: ecco un’altra ottima penna prodiga di dettagli e informazioni, tra le mie preferite in assoluto. Tra l’altro ex pollice nero!! Il che mi dà grandi speranze. I post sono nella rubrica Agricultura, che potete leggere solo associandovi al Pasto Nudo. Che non sarebbe per niente una cattiva idea, che oltre ad accedere a tantissimi contenuti interessanti avete pure sconti sulla spesa online direttamente dai produttori consapevoli selezionati da Sonia e Francesco, su ben due piattaforme diverse. Vi rimando anche alla bravissima Manuela, che fa dell’orto la sua metà del cielo, base imprescindibile della sua (buona) cucina. Ha una sezione dedicata ai lavori nell’orto mese per mese, la trovate qui.
Cosa mi sta dando più soddisfazione in assoluto? Prima di tutto il basilico. Eh, lo so, che ce vole, ma lo sapete che io e il basilico abbiamo avuto una relazione travagliata. Poi il peperoncino. Dopo il primo frutto, ve ne accennavo qui, che pareva volersene rimanere tutto solo, ne sono spuntati tanti altri, che sembrano godere di ottima salute. Ho notato ieri che le cimici si stanno interessando un po’ troppo a loro, oltre che ai (pochi) pomodori, ma ho già qualche possibile soluzione.
E poi, in parte, le melanzane. Dico “in parte” perchè la produzione è molto bassa e i frutti restano piccoli, ma sono così belli (i loro fiori poi, che meraviglia!) che ripagano i propri difetti, ma giusto per me che sono la mamma. È difficile capire quando coglierle: essendo un orto dei puffi, non posso affidarmi alle dimensioni per capire quando è il momento, e non cambiano colore come pomodori o peperoncini. Si dice vadano colte quando la buccia è ancora lucida, ma è un attimo che diventa opaca e tu non te ne sei accorta e dentro sono già piene zeppe di semi. Com’è come non è, oggi colgo la mia seconda melanzana tonda, e ci preparo una tartare. Una piccolissima tartare 🙂
L’ispirazione la prendo ancora da Orto e Cucina di Grazia Cacciola, da dove altro avrei potuto attingere per una ricetta da correlare a questo articolo? Qualche piccola modifica per me: il basilico al posto della menta, giusto per restare nel mio orto, e qualche ciuffo di Portulaca oleracea, cresciuta spontanea e abbondante nel vaso di quella che una volta era la rucola (quella che è stata divorata dall’esercito che dicevamo). Insieme, tra l’altro, a una pianta di Perilla rossa, che bellissima sorpresa vederla spuntare! Non era nemmeno in quel vaso, la scorsa estate, ma qualche seme è riuscito ad arrivare fin lì…me l’aveva detto Sofia che si risemina da sé molto facilmente.
E’ una ricetta semplice e fresca, ideale per un antipasto o un contorno estivo. Io ovviamente vi dò le dosi per 4 persone, anche se per me ho usato quell’unica melanzana…mica per orgoglio, ma perché il frigo è mezzo vuoto 🙂 E ovviamente era zeppa di semi anche stavolta, sob.
// Tartare di melanzane con basilico e portulaca //
°° Ingredienti °°
- 4 melanzane medie (per me tonde viola)
- 1 limone
- 1 cucchiaio di capperi
- qualche cima di basilico fresco
- una manciata di foglie di portulaca
- pepe nero
- olio e.v.d’oliva
- sale marino integrale
Sto scrivendo un articolo sull’orto proprio in questi giorni, non andrà sul blog e non ti anticipo altro-sennò che sorpresa é?!- ma capiti a fagiuolo! Mi sento come te, sempre in fase di apprendimento, con la terra è così, quest’anno in modo particolare, dato il clima, ma sul punto dell’attenzione e della cura non posso che essere d’accordo.
La terra è piena di sorprese, a volte arrivano veri e propri miracoli dall’orto, ma non si può nulla senza dedizione.
E intanto mi segno la ricetta, che come amante delle melanzane non posso non adorare!
Già intuisco dove andrà quell’articolo, e secondo me non mi sbaglio…aspetto news, in tutti i sensi 😉
La ricetta può dare di più, con delle melanzane colte al momento giusto; per quanto tu ti senta un’eterna principiante nell’orto, sono certa che questo scoglio tu l’abbia già superato, se la provi fammi sapere che ne pensi.
Un abbraccio grande!!
Ciao Claudia!!anch’io nonostante sia innamorata delle piante ho il pollice..diciamo grigio …troppo amore?boh…in ogni caso quest’anno guardandomi intorno nella mia campagna soffro per loro 🙁
dura a sperimentare quest’estate, ma concordo con te e il tuo compagno sul punto 9 🙂
baci gianna
Ciao Gianna! Anche una mia cara amica, con pollice più che verde, che vive vicino a me mi ha rassicurata sul fatto che l’annata non è delle migliori e che non è facile ottenere buoni risultati nemmeno per chi l’orto lo fa da sempre. Se stanno cedendo anche le “erbacce” a questa siccità spaventosa, figuriamoci le orticole come possono passarsela, seppur coccolate ogni giorno!
Un bacione!
Cara Claudia, ti ringrazio per le belle parole ma soprattutto per la genuinità e l’entusiasmo che metti sempre nei tuoi post, è un piacere leggerti!
Per i tuoi progressi… Ognuno ha le sue tecniche e i suoi modi, sicuramente a qualcuno sarà riuscita anche la coltivazione sul cemento ma questo non lo rende un substrato adatto a tutte le coltivazioni. Per mia esperienza ma anche per semplice biologia, su terreni molto poveri è già tanto se riesci a far crescere delle cicorie. Il fatto che delle solanacee, tra le piante più esigenti in assoluto, crescano su substrati fatti di calcinacci, mi spiace ma la spiegazione è sicuramente da cercare altrove. Una spiegazione plausibile è che siano state trapiantate con un pane di terra sufficiente a nutrirsi per tutto il ciclo produttivo ed ecco spiegato l’arcano. In pratica, è come coltivarle in vaso e del terreno attorno non gli interessa nulla. Oppure, come si fa nell’idroponica, vengono bombate di ammendanti e di quello si nutrono, invece che metabolizzarli dal substrato. In alternativa, io posso anche raccontarti che ho coltivato un orto nella sabbia di fiume (ed è vero) ma se omettessi di dire che trapiantavo le piante con un pane di terra dimensione vaso, sarei semplicemente disonesta. 🙂
Il tuo terreno, da quel che dici dei risultati, è molto probabilmente un terreno che è stato tenuto a prato da giardino per alcuni anni se non per un bel decennio. E’ quindi tra i terreni più poveri, perché in monocoltura, magari anche con qualche diserbo selettivo.
Se accetti il consiglio, io passerei l’inverno a spargere settimanalmente macerato di equiseto e macerato di ortica. Inoltre spargerei semi di meliloto e spore di tarassaco, sono dei grandi “zappatori” e sarchiatori naturali, così in primavera ti basterà lavorare il primo strato superficiale. Io il tarassaco e le cicorie le lascio crescere tra le altre piante, dirado solo quando sono troppe. Eventualmente anche gli spinaci specialmente nella varietà Matador, sono utili al sovescio naturale e ad arricchire i terreni poveri (e si mangiano!).
Con tarassaco, cicorie, spinaci e biete vantaggio è duplice: tengono il terreno molto idratato e sciolto, inoltre si possono mangiare. Io infatti non coltivo catalogne, ma solo queste qualità per avere sempre a disposizione verdura verde a foglia. E il terreno ringrazia molto, anche questo attuale che è il peggio: molto argilloso e con acque calcaree.
Un grande abbraccio e per qualsiasi dubbio o informazione scrivimi, sarà un piacere confrontarsi! 🙂
Devo dirti ulteriormente grazie per questo commentone, pieno di spunti e informazioni utili!
Il mio terreno in verità è abbastanza variegato e pieno di spontanee…da 6 anni, da quando sono qui, non ha subito alcun intervento se non gli sfalci primaverili, a cui pensa il mio padrone di casa (sant’uomo). So che chi mi ha preceduto nell’affitto qui si opponeva anche agli sfalci, voleva che il prato crescesse naturalmente, con un certo disappunto del vicinato 🙂 Quindi escluderei che ci siano stati diserbi; la monocoltura, se è stata progettata all’inizio, è andata in malora da un bel po’. Tarassachi ce ne sono, tanto trifoglio, tanta pratolina, qualche acetosa, cicorie, verbena in estate. Il meliloto proverò volentieri a spargerlo, lo adoro! Ma in generale è la gramigna che spadroneggia, per lo meno sottoterra, come dicevo raccontando le mie fatiche nel trapianto. Eppure sì, sembra un terreno povero, ha tanto in comune col tuo: questa è zona di terreni argillosi e acque calcaree (tutte le case hanno obbligatoriamente l’addolcitore d’acqua, per non distruggere le tubature: io per innaffiare però uso l’acqua diretta, quindi non addolcita). Proverò ad andare di macerati! Dovrò aspettare che rispunti l’ortica, intanto preparo l’equiseto.
Grazie grazie e ancora grazie, di tutto 🙂
che bello questo articolo Claudia, e anche coi consigli di Grazia!!! dopo questa estate tremenda avevo deciso di non fare nulla, troppo esausta per anche solo pensare all’orto invernale, ma invece il vostro entusiasmo contagioso e i consigli mi hanno fatto riprendere un pò di giri….grazie a entrambe
Ciao Daniela! Che dirti…mi fai contenta con questo commento 🙂 Dai, che la tua terra è meravigliosa e il caldo torrido inizia ad essere un ricordo lontano…l’autunno è bello! Un bacione e grazie a te.