L’aroma dei primi camini accesi, diffuso nell’aria nei precoci crepuscoli autunnali, mi aveva già travolta verso l’inizio di ottobre, innescandomi dentro una scintilla di nostalgia per quel compagno perduto, per il conforto della fiamma viva e del suo calore. È stata questione di qualche sera, poi il vigore del sole ha ripreso piede, rendendo nuovamente inutile quello del focolare.
Ora che il momento del buio è arrivato, accompagnato dalle ricorrenze di inizio novembre, sembra non esserci mai stata tanta luce, in questo nuovo strano autunno. Scopro ancora le spalle, colgo ogni occasione per sentire ancora il sole sulla pelle, accumulo tutto il calore possibile prima che la notte prenda il sopravvento per davvero. Le piante, negli incolti ai bordi dei paesi, sono verdissime e forti, invitanti più che mai. Il mio basilico, sul terrazzino di casa, esplode di vita, come fosse fine primavera.
Cammino tra le Crete, felice di poter fare ancora la lucertola. Un trattore mi induce in un attimo a cambiare strada sul sentiero, il vento per fortuna non tira dalla mia parte. Subito m’intristisco, a vederlo spruzzare glifosato, sullo sfondo un altro campo di quel mortifero color arancio; nonostante gli ultimi eventi che il clima impazzito ha provocato, la volontà di cambiare sembra ancora troppo lontana.
Per annusare di nuovo il profumo di legna ardente, sono dovuta salire di quota, tra i paesini abbarbicati sulle pendici dell’Amiata. Tra i boschi gli equilibri sembrano ancora intatti, al nostro sguardo superficiale. Tra i boschi tutto il fascino di questo momento di passaggio, dalla luce della superficie al buio del mondo ipogeo, è al massimo della percezione. Gli ultimi frutti vengono offerti senza risparmio dalle piante forestali, dai ricci pieni di castagne che riempiono il sentiero alle lucide e attraenti bacche della belladonna, un invito da non cogliere, ma così generoso e suggestivo. La luce filtra attraverso l’aria umida, i sensi sono accesi, i suoni resi nitidi e amplificati dalle volte verde-giallo dell’immensa cattedrale arborea. Un ramo che si spezza, l’avanzare ritmato dei miei passi, il fruscio di una fronda che si spoglia, i salti attraverso il fogliame umido di un qualche animale invisibile. Se ci si ferma ad ascoltare, sembra quasi di sentire i funghi spuntare dalla terra.
Sono una raccoglitrice di erbe, ma con le giuste compagnie posso tramutarmi con un certo entusiasmo in una raccoglitrice di funghi. Quella compagnia, in una domenica di fine ottobre, è stata Caterina, che pure è una bravissima cercatrice di erbe, ma in aggiunta a ciò si è da poco diplomata in micologia. Il bosco è stato generosissimo, e Caterina pure, in aperta condivisione dei suoi saperi. Uscite dal sentiero per seguire i colori delle cappelle aperte, ci siamo addentrate sempre di più nel sottobosco scoprendo una fittissima quantità di specie. Erano ovunque, dalle più deliziose alle più velenose, da quelle a tinte accese e brillanti a quelle supermimetiche, passando per strane consistenze, forme, attitudini. Un mondo immenso, di cui solo la superficie resta visibile ai nostri occhi, una parte infinitesima della vera vita dei funghi che per lo più è là sotto, nascosta nel buio del sottosuolo.
Di funghi conosco poco e niente, nessuno mi ha mai portata a coglierne e non ho ancora avuto il tempo di poterli studiare un po’, immersa come sono stata dallo studio delle piante e da troppi altri eventi lavorativi e personali. Ma l’unico che posso dire di conoscere con certezza me lo sono trovato davanti in quel bosco, per poi scoprire che era solo il primo esemplare di una colonia foltissima, che mi ha permesso di fare un ottimo raccolto. Se lo conosco lo devo a chi me l’ha fatto mangiare la prima volta, la mia amica Graciela, che una sera d’inverno me lo ha cucinato, in versione essiccata e reidratata, insieme a una buona polenta. Se l’ho potuto riscoprire e raccogliere lo devo a Caterina, e alla nostra passeggiata improvvisata di quella domenica di metà ottobre, in cui l’ho seguita fuori dal sentiero per immergermi in un mondo nuovo.
Non ho raccolto solo trombette dei morti (Craterellus cornucopioides), il fungo che ho conosciuto con Graciela, osservato poi una volta nel mio vecchio bosco ad Asciano e riscoperto ora, ma anche altre specie, ovviamente solo quelle che Caterina mi ha esortato a raccogliere. Pochi cantarelli – Cantharellus cibarius – e un po’ più di steccherini – Hydnum rufescens – oltre a un paio di altre specie di cui ho preso solo qualche esemplare d’assaggio. Le trombette, vista la loro abbondanza e il sapore che reputo eccellente, sono protagoniste in questo piatto che vi racconto oggi. Tra i loro nomi popolari c’è anche tartufo dei poveri, per il suo aroma che si avvicina a quello dei divini Tuber. Oltre alla polenta ci ho fatto anche altro: le ho usate per condire la pasta (buonissima!), prima da sole e poi insieme agli steccherini, e ne ho essiccate gran parte, riempiendo un bel vasone di vetro. Con alcuni di questi farò una polvere, che Caterina mi ha detto essere molto buona sulla pasta o anche in altri piatti. L’essiccazione è rapidissima (sono bastate 6 ore a 40° nel biosec) e la resa tutto sommato non è male: con quattro vassoi pieni ho riempito un vaso da un litro.
Ho voluto rifare una polenta, per celebrare l’arrivo dell’autunno vero e questi suoi deliziosi regali. Se mi seguite da un po’ sapete che di polente precotte non voglio saperne, mi urtano tanto quanto gli gnocchi confezionati. L’unica polenta che mi piaccia si fa da una buona farina cruda, che nel mio caso è la farina di mais pignoletto rosso del Podere Pereto.
I funghi richiedono una buona dose di pazienza non tanto per la raccolta, che è piacevolissima, quanto per la pulizia. L’ideale è pulirli già al meglio possibile nel bosco con un pennellino, ma io, che non mi aspettavo quel giorno di raccoglierne, mi sono portata a casa un sacco di terra. Caterina mi ha detto che cantarelli e steccherini si possono passare tranquillamente sotto l’acqua prima di cucinarli. Le trombette le ho trovate troppo delicate per fare lo stesso, quindi le ho aperte una a una e spazzolate con un pennello da cucina.
Ho cotto i funghi separatamente, per sentirne più nel dettaglio sapori e consistenze in cottura, ma potete anche cuocerli insieme. Ho fatto per ognuno un soffritto di aglio, e ho aggiunto per aromatizzare una pianticella spontanea che si abbina tradizionalmente ai funghi, anche perché prospera ancora fino a novembre, ossia la nepitella, o mentuccia romana, o più specificatamente Clinopodium nepeta.
Questa polenta sarà buonissima anche con una sola varietà di funghi, quelli che riuscite a trovare, o con dei funghi comprati al mercato. Variate come volete, a seconda di cosa il bosco o i raccoglitori vi regaleranno.
Vi lascio alla ricetta, ma sotto trovate un sacco di altre cosette interessanti da leggere!
// Polenta con trombette dei morti, cantarelli e steccherini //
°° Ingredienti °°
- 300 grammi di buona farina di mais per polenta
- 1300 grammi di brodo vegetale o acqua
- 3 manciate di trombette dei morti (Craterellus cornucopioides)
- una bella manciata di steccherini (Hydnum rufescens)
- una manciatina di cantarelli (Cantharellus cibarius)
- 2 spicchi d’aglio
- un mazzetto di nepitella fresca o secca (Clinopodium nepeta)
- olio e.v.d’oliva
- sale marino integrale
Altre informazioni utili
Tornando alle erbe, questa domenica 10 novembre mattina c’è l’ultima passeggiata della stagione! Per lo meno in zone collinari del centro Italia, non so se farò una cosetta a Roma il weekend successivo, sto ancora capendo se ce la faccio. Andremo ad Archeologia Arborea, un frutteto speciale, immerso tra colline e boschi vicino Città di Castello e importantissimo per la conservazione dell’agrobiodiversità. Tutti i dettagli li trovate nella pagina dedicata all’evento, con una bella descrizione del progetto e link agli articoli che gli ho dedicato in passato qui sul blog..
Caterina Cardia l’ho incontrata parecchi anni fa, ma la sua fama la precedeva. Sapevo che eravamo accomunate dagli stessi interessi selvatici, quelli relativi alle erbe alimurgiche, e sapevo che da tempo raccoglieva per ristoranti e agriturismi. Mi è subito piaciuta, e ci siamo alla fine ritrovate anche a dare nascita insieme all’AIF – Associazione Italiana di Fitoalimurgia, insieme a altri professionisti preparati e talentuosi. È stata proprio lei a tirarmi dentro nel gruppo, trainato dal mitico Roberto Vetromile.
Caterina ha lavorato per tanti anni non solo alla raccolta, ma anche alla coltivazione delle spontanee, per forniture esterne e per il ristorante dove aveva le serre e i campi. Ora studia con passione anche i funghi, e chissà che altro combinerà in futuro. Su instagram la trovate come kate_and_the_bad_seeds. Un’intervista recente, relativa soprattutto alla coltivazione delle spontanee, la trovate qui.
Se volete esplorare il mondo di sotto non solo per quanto riguarda la sua manifestazione superficiale, i funghi commestibili, ma da tanti altri punti di vista affascinanti e interessantissimi, il libro di Merlin Shaldrake, se non lo avete già letto che è ormai parecchio conosciuto, non può mancare nella lista delle vostre prossime letture. L’ordine nascosto, in originale Entangled life, non solo è ben scritto, ma è assolutamente ipnotico. Sotto la superficie c’è davvero molto ma molto di più da scoprire, ed è ancora tanto quello che non conosciamo. Ogni libro che narri in modo accessibile l’interconnessione che permea tutta la materia vivente è oggi doppiamente importante, per capire quanto anche noi dipendiamo da queste interconnessioni e cercare di favorirle, anziché distruggerle. Se non per deferente senso di comunione col grande disegno della natura, quanto meno per sopravvivenza.
Di erbe qui ho parlato poco, oggi, ma ho citato una pianta affascinante quanto temibile, ossia Atropa belladonna, una delle specie più velenose che popolano i nostri boschi. Se vogliamo trovare un’erba che sia collegata, simbolicamente, al buio e alla morte, celebrati in questo periodo di ponte tra ottobre e novembre appena passato, potrebbe essere proprio lei, che sta finendo giusto ora di offrire le sue lucide bacche nere, ben piazzate su calici stellati. In questi giorni ho letto un bell’articolo scritto da un’altra divulgatrice, Roberta Donati, che tra l’altro lavora all’erboristeria più bella e seria di Roma, L’Antica Erboristeria Romana, gestita dai fratelli Ospici di cui Paolo è stato uno dei miei maestri più apprezzati.
Roberta ha dedicato alla belladonna un articolo monografico molto bello e suggestivo, lo trovate sul suo sito, a questo link.
Un paio di settimane dopo il giro per funghi sull’Amiata me ne sono andata anche sul Pratomagno, questa volta a passo spedito sul sentiero e senza evasioni fuoripista, ad abbeverarmi di colore, di silenzio, e di sole una volta raggiunta la cresta erbosa. Niente funghi, ma diverse erbe nuove da studiare, e soprattutto tanta energia buona e pace.
Sono tornata all’ora perfetta al centro abitato da cui sono partita, quella del tramonto, che mi sono goduto sulla terrazza esterna di un posto speciale, accanto a un antico seccatorio per castagne in pietra rimesso in funzione da una giovane famiglia, che sbuffava fuori dolcemente il fumo di legna del fuoco che lo alimenta ininterrottamente. Gli ultimi raggi aranciati del sole, la musica perfetta, una torta di mele e calvados strepitosa accompagnata da una tisana e il cielo a infiammarsi sopra le montagne. Il posto speciale si chiama Pan di Legno, se capitate a Trappola nel fine settimana alle ore giuste fateci un salto! Sul sito non c’è scritto, ma la domenica al momento sono aperti anche in orario 16-20, per una merenda o una cenetta in orario da montanari :). Seguiteli su instagram per informazioni più aggiornate, anche sul corso di fermentazione che partirà tra pochissimo, per tre sabati a novembre. Trappola si trova a 900 metri di altitudine sopra il paese di Loro Ciuffenna in provincia di Arezzo, e da lì passano diversi sentieri molto belli.
Grazie Claudia, è sempre un piacere leggere e girovagare sul tuo blog 🙂