Se vi dicessi che anche una zuppa di miso può essere preparata con ingredienti completamente locali, ci credereste? Ecco, fino a un paio di anni fa non ci avrei creduto nemmeno io: credevo che il miso fosse una produzione esclusivamente giapponese, impossibile da trovare altrove, fino a quando, curiosando tra i produttori aderenti alla rete La Terra Trema, ho scovato l’azienda agricola L’Olmaia, che produce miso e salse fermentate in Italia. E non solo in Italia, ma in Valdichiana, a meno di un’ora da casa mia! La cosa che mi ha stupito ancor di più è che Dario Benossi, il creatore di questo progetto, ha iniziato ad usare i legumi nostrani al posto della soia, e si è messo a produrre, accanto alla classica salsa di soia tamari, salse di ceci, di lenticchie, miso di ceci e miglio, addirittura un miso di ceci, semi di girasole e di canapa! Potevo non andare a curiosare?
Prima di raccontarvi di Dario e delle sue fermentazioni, magari vi parlo brevemente di che cos’è il miso, visto che magari non tutti hanno familiarità con questo alimento ben poco tradizionale nella nostra cultura. Il miso è una pasta cremosa che si ottiene dalla fermentazione di legumi, da soli o uniti a cereali. Il più classico si ottiene dalla soia, ma è molto diffuso anche il miso di riso, più delicato. É un alimento che fa parte della cultura alimentare giapponese da secoli, approdato in occidente in seguito alla diffusione della cucina macrobiotica, intorno agli anni ’60. La fermentazione predigerisce le proteine della soia (o degli altri legumi con cui viene prodotto il miso), che vengono ridotte ai loro singoli costituenti, diventando così più assimilabili. Oltre al contenuto proteico, il miso è ricchissimo di enzimi e lattobacilli, elementi importanti per la digestione e per la salute della flora batterica intestinale. Si usa in cucina soprattutto per insaporire zuppe, salse e altre preparazioni, a molti piace anche spalmato sul pane. É anche un ottimo sostituto del brodo vegetale, anche se in quel caso si perdono parte delle proprietà a causa della cottura: il miso infatti andrebbe sempre aggiunto a fuoco spento, stemperato precedentemente in poca acqua calda. Il sapore è mediamente deciso, varia seconda degli elementi presenti nella lavorazione.
Ho scoperto durante la mia visita a L’Olmaia che la salsa di soia tamari (per i profani: il tamari si ottiene dalla sola soia, lo shoyu da soia e frumento) era in origine uno scarto nobile della produzione del miso; era il liquido che affiorava durante la fermentazione, che veniva recuperato e imbottigliato, poi piaceva così tanto che la salsa di soia è diventata una produzione a sé.
Parentesi nella parentesi: continuo ad essere estremamente affascinata dalla fermentazione, ma progredisco a passi lenti. Sto coccolando da qualche settimana una madre di kombucha, ho creato una pasta madre, ho preparato kefir d’acqua per qualche mese, ma non mi piaceva. Ho fatto in casa i crauti, lo yogurt, un rejuvelac che però è andato a male. E ho fatto la birra un paio di volte. Ma c’è mooolto altro da sperimentare…so che la mitica Erbaviola sta traducendo e curando per l’Italia la bibbia della fermentazione ossia “The Art of Fermentation” di Sandor Katz, che presto sarà disponibile nelle librerie. E poi, per chi usa facebook, c’è il gruppo Wild Fermentation Italia, molto partecipato e utilissimo per avvicinarsi a questa materia così affascinante.
Ma torniamo in Valdichiana e a L’Olmaia, dove sono finalmente riuscita ad andare verso gli inizi di settembre, dopo aver premeditato la visita per circa due anni (argh!). Dopo essermi persa in cerca del podere in cui Dario vive con la sua famiglia e con le sue botti di miso e salse in fermentazione, sono finalmente arrivata in fondo al lungo sterro che attraversa il bosco e scende verso un grande podere in pietra con le persiane rosse (adoro le persiane rosse!). Mi accoglie il giovane figlio di Dario, gentilissimo e sorridente, e una delle loro canone in vena di coccole. Arriva anche Dario e mi invita a sederci su una panchina al sole, davanti alla vigna che fronteggia il podere, a conoscerci un po’ prima della visita. La stagione è ancora calda, ma lassù, verso Monte San Savino, l’aria è inaspettatamente più fredda e il sole mi dà un piacere enorme. L’atmosfera è familiare e rilassata, sono a casa loro più che nella loro azienda, e questo si percepisce immediatamente. Il podere è bellissimo, il bosco alle spalle e un panorama aperto sul fondovalle.
Racconto un po’ di me, poi inizio a chiedere di loro e dell’azienda. Chiedo a Dario come si sia avvicinato alla fermentazione e come sia arrivato fin qui. Lui mi risponde che è un po’ come la storia di Obelix, è caduto nel pentolone della pozione da piccolo 🙂
Dario è friulano, suo padre e suo nonno prima di lui facevano vino, e lui stesso ha portato avanti la tradizione familiare dai 18 ai 25 anni, in Friuli, e poi anche nei primi anni della sua azienda in Toscana, quando il miso e le salse fermentate non avevano la diffusione necessaria per sostenere da sole l’attività. La fermentazione ha quindi fatto parte della sua vita fin da piccolo, ma l’interesse per le fermentazioni salate arriva con lo studio della cucina orientale e macrobiotica, che lo porta ad esperienze nella ristorazione naturale e a viaggiare in cerca di nuovi stimoli. Studia in california, dove apprende l’arte delle fermentazioni salate da un ex-pilota giapponese di aerei kamikaze (un miracolo vivente, insomma) che aveva studiato con Ohsawa, il padre della macrobiotica.
Tornato in Friuli inizia a sperimentare e a produrre i primi fermentati, poi circa 20 anni fa si trasferisce in Toscana, col desiderio di trovare un bel posto in campagna dove poter vivere con la sua famiglia e portare avanti i suoi progetti. Lo trova a Palazzolo, un minuscolo paese vicino Monte San Savino, in provincia di Arezzo, e dà vita alla sua azienda agricola. Decide di affiancare alle produzioni a base di soia quelle a base di legumi tipici del territorio: la soia ha troppo bisogno di acqua, rispetto a quanta ce ne sia in Toscana; lenticchie e ceci si sono invece adattate a questo territorio in maniera ideale, si accontentano di poca acqua e hanno un’ottima resa. E danno miso e salse buonissime! Col tempo inizia anche ad autoprodurre le spore necessarie alla fermentazione, selezionando i ceppi che più si adattano ai nuovi legumi utilizzati.
Facciamo un giro nel laboratorio. Appena entrata vengo invasa da un odore particolarissimo, difficile da descrivere. Le botti di legno in cui maturano miso e salse sono enormi, molte sono le stesse che in precedenza venivano usate per il vino. I legumi vengono cotti insieme ai cereali, poi si aggiungono le spore (aspergillus oryzae, chiamate semplicemente koji in Giappone) che danno inizio alla fermentazione. Il miso fermenta sotto pressione e in assenza di aria dai 12 ai 24 mesi, anche se è possibile accorciare fino a soli 5 mesi, mentre le salse hanno bisogno di un minimo di 18 mesi.
Dario è uno sperimentatore, la passione per quello che fa è nettamente percepibile e la qualità dei suoi prodotti fa sì che possano percepirlo anche le persone che non lo incontrano direttamente. Come è scritto nella pagina “la nostra filosofia” sul sito dell’azienda:
…non bisogna avere fretta per perseguire buoni risultati. La fermentazione dei cereali deve avvenire in tempi lunghi, dando modo ai micro-organismi di operare nel loro ambiente alchemico e giungere alla trasformazione delle sostanze in un crescendo di risultati dai benefici straordinari per l’alimentazione dell’uomo.
L’ambiente della fattoria (dove, sempre a detta di Dario “non vengono allevati animali […], ma fermenti”) appare l’ideale per questo processo lungo e bisognoso di essere assecondato nei suoi ritmi e necessità: un ambiente familiare, rurale, ben diverso da un freddo capannone industriale.
Arriva il momento di tornare a casa, mi rimetto in macchina con un bel carico di salse fermentate e miso: provo la salsa di lenticchie e quella di ceci, entrambe buonissime, poi il miso di riso e soia, quello di ceci e miglio, e, come resistere a una particolarità simile, quello di ceci, canapa e girasole. Non dovrei dirlo troppo in giro, perché la produzione è ancora troppo piccola, ma Dario mi dà anche una bottiglietta di acidulato di umeboshi, da prugne di sua coltivazione: lo sto centellinando come fosse il liquido più prezioso della terra, è fantastico!
I prodotti della fattoria L’Olmaia sono piuttosto diffusi nei punti vendita bio delle province di Siena e Arezzo, ed è possibile trovarli anche in diverse altre regioni italiane. Potete cercarli nel Naturasì a voi più vicino, qui a Siena li ho trovati da Biovita, sulla Strada Massetana Romana (che tra l’altro, rispetto a quando ho lavorato lì in cucina, ha cambiato gestione e si è rinnovato, diventando un posto davvero molto piacevole dove mangiare e fare la spesa). La cosa migliore però sarebbe fare un salto alla Fierucola in Piazza Santo Spirito a Firenze, dove Dario è presente ogni terza domenica del mese con i suoi prodotti, il contatto diretto con chi produce quello che mettete nel piatto è sempre preferibile. Se poi fate parte di un gas sappiate che Dario li rifornisce più che volentieri, è proprio la forma di distribuzione che preferisce. Contattatelo e fatevi mandare i listini riservati ai gruppi d’acquisto.
Direi che la zuppa di miso questa settimana capita a fagiolo, anzi diciamo pure a cecio. Il netto cambio di temperatura della scorsa domenica mi ha portata ad accendere il camino per la prima volta nella stagione e ad avere ancora più voglia di cibi caldi, nutrienti, di ciotole piene con cui scaldarsi le mani. Immagino di non essere la sola. Riconosco quanto la natura avesse bisogno di questo freddo, ma io stavo tanto meglio prima…
La zuppa di miso è un piatto semplice, veloce, molto nutriente. La preparazione tradizionale macrobiotica vorrebbe la presenza di una radice allungata (tipo la carota), una tonda (come la cipolla) e delle foglie verdi, unite all’alga wakame. Si può variare in mille modi, aggiungere tofu, come si fa spesso nei ristoranti giapponesi, rondelle di zenzero fresco, altre verdure o anche dei soba noodles. A me però piace prepararla in modo estremamente essenziale: uso solo del porro tagliato a rondelle sottilissime e un po’ di alghe wakame, irrinunciabili. Ho scelto per questa ricetta il miso di ceci e miglio, ma è buonissima anche con le altre tipologie prodotte da Dario (quello di riso è spaziale!). La zuppa di miso è ottima per aprire un pasto, magari preparandone mezza porzione ciascuno, ma anche come piatto principale a cui far seguire un’insalata e delle verdure cotte o crude. Se non l’avete mai provata è il momento giusto per farlo, vi regalerà un calore e un sapore a cui non potrete più rinunciare.
// Zuppa di miso //
°° Ingredienti °°
- una ciotola d’acqua per persona
- un cucchiaio scarso di miso per persona
- un porro tagliato a rondelle sottilissime
- un cucchiaino di alghe wakame in fiocchi per persona
Ciao! Ho da pochissimo scoperto il tuo blog che mi piace moltissimo!
E complimenti anche per questo post, ricco di informazioni utilissime! 🙂
Adesso devo assolutamente cercare il negozio bio dove comprare tutti questi tipi di miso!!!
Ciao Rebecca, sono felice che tu sia approdata felicemente qui, resta pure quanto vuoi 🙂
Spero riuscirai a trovare questo miso buonissimo, come anche le salse…se hai difficoltà prova a scrivere a Dario chiedendogli se sa dove sono distribuiti nella tua zona.
A presto!
Sono estasiata, ecco. Letteralmente estasiata. Adesso vado a bussare alla mia erborista per sapere se me lo procura. Amo i prodotti fatti con così tanto amore e competenza. Avevo già tentato di trovare il miso di ceci e miglio de L’olmaia ma è risultato molto difficoltoso nel bolognese (tra l’altro ho controllato ora, ho scritto all’azienda il 9 novembre per sapere dove trovare i loro prodotti da queste parti ma mi sa che stanno ancora verificando…)
Per le cose buone e belle bisogna darsi un po’ da fare 😀
Grazie dell’articolo chiarissimo, con il tuo permesso lo posterei anche nel gruppo Wild Fermentation Italia, così lo diamo come riferimento quando qualcuno chiede lumi su salse di soia e miso 🙂
Sentirai che estasi all’assaggio! Spero davvero riuscirai a trovarli, mi sa che Dario non ha un gran buon rapporto con le email, ma immagino ti risponda prima o poi 🙂 Sennò prova a contattare qualche gruppo d’acquisto in zona tua e vedi se gli interessa fare qualche ordine collettivo. Bisogna darsi un po’ da fare, sì, ma ne vale la pena, e tu lo sai bene.
Ecccerto che puoi postare su wild fermentation, mi fa superpiacere! Magari taggami così se qualcuno commenta mi arrivano le notifiche (faccio un po’ fatica a stare dietro a facebook ultimamente…)
Buona giornata cara!
Voglio quel miso! Lo comprai da Castroni tempo fa, in polvere, senza riuscire a sapere cosa ci fosse dentro e il sapore era molto discutibile tant’è che l’ho cestinato. Spediranno anche on line? Ora li contatto…
Miso in polvere?! Mmmm…no, non mi quadra proprio. Se proprio non trovi quello dell’Olmaia almeno cercane uno in un negozio bio, così hai un’idea di cosa sia davvero il miso 🙂 Non credo spediscano online, al di là di ordini collettivi per i gruppi d’acquisto, ma non lo escludo…prova a contattarli e chiedi, male che vada fatti dire se sanno dove trovarli nella tua zona.
Adoro la zuppa di miso! Proverò a contattare l’azienda che produce tutte quelle meraviglie! Grazie per l’articolo molto interessante! 😉 🙂
Grazie a te Raffaella!!
Wow, che bel post!!! E quante utili informazioni!!!!
Non sapevo che il tamari fosse nato dallo scarto della preparazione del miso!
Conosco questa azienda, nel negozio dove faccio la spesa qui trovo la loro salsa di soia e il miso di riso e soia e di orzo e soia, buonissimi…..ma tutti gli altri prodotti, no, non li ho mai visti……non sapevo nemmeno che esistessero, non sapevo che il miso e le salse si potessero fare anche con altri legumi, che bella notizia!
Chiederò in negozio se possono procurarmeli….
Grazie per aver raccontato di questa bell’Azienda….tra l’altro che posto incantevole!
Buona domenica
Serena
p.s. la foto del cane appisolato sull’erba è bellissima 🙂
Grazie Serena! Il posto è incantevole, sì, e la canona non solo è bella, ma è di un affettuoso che non ti dico…
Che peccato che molti rivenditori prendano solo i prodotti più “standard” da L’Olmaia, secondo me la cosa maggiormente innovativa è proprio l’uso dei legumi del territorio. Spero te li facciano avere, sono ottimi.
Buona domenica a te 🙂
Ci credi che non ho mai mangiato il miso? Dico e ridico che devo provarlo ma poi ancora nessuna stretta di mano… tu adesso mi hai messo ancora più curiosità e l’intenzione non è solo assaggiarlo, ma seguire esattamente le tue orme e concedermi una gita in un posto del genere! Sai che, a proposito di emozioni, il cuore mi batte quando vedo certi angoli in mezzo al verde, dove cibo sano, relax e quiete si uniscono… e le persiane rosse del casale quanto sono belle? 🙂
E poi c’è quella frase che porto via con me: “non bisogna avere fretta per perseguire buoni risultati”…
Come al solito sai cogliere sempre le frasi più significative 🙂
Dai, devi provarlo il miso! Se poi trovi quello di L’Olmaia meglio ancora, mi pare che ci sia un grosso negozio bio a via Sicilia, vicino Piazza Fiume, magari lì c’è. E però certo, se vai direttamente sul posto meglio ancora. Se vai però avverti, eh, che così ci torno pure io 🙂
Claudia grazie per il bel racconto di questa visita a un produttore così particolare. Non vedo l’ora di provare questi cibi fatti con amore. Alla fermentazione mi sto avvicinando con curiosità,vorrei iniziare ad autoprodurmi qualcosina, ora cerco il gruppo.
Adoro il miso e lo uso da anni, avrei una domanda circa la tua ricetta sulla zuppa di miso:
a me risulta che le verdure andrebbero yanghizzate, cioè saltate in poco olio e forse un goccio d’acqua prima di aggiungere l’acqua per la zuppa, che mi dici a riguardo.? Mi sembra un poco blanda la tua versione
Ciao Agnese!
Assolutamente sì, è una versione blandissima e affatto macrobiotica! Ne so ben poco dei dettami della macrobiotica tradizionale, cioè, li ho anche studiati un po’, ma poi non mi ci sono appassionata. Ho infatti anche specificato nell’intro alla ricetta che non è decisamente una preparazione “ortodossa”, ma il modo in cui mi piace preparare la zuppa. Però la prossima volta proverò a fare come hai detto tu, di certo in quel modo la zuppa viene più saporita.
I prodotti meritano e il gruppo anche, occhio che se ti stai avvicinando ora alle fermentazioni troverai le cose più strane! Per questo è stimolante 😉
Woo, che gioia! Adoro la zuppa di miso e odio pensare di che porcheria si tratti quando mi concedo per estremo capriccio di prenderla ai ristoranti giapponesi (tra l’altro non che ne conosca di meritevoli, eccetto uno). Poi bellissimo l’excursus, molto educativo: anche con le mie conoscenze in ambito nipponico di lui ne sapevo poco e nulla, a parte che mi piace da impazzire. La storia di Dario tra l’altro è fantastica, ma in generale quando il meglio dell’occidente incrocia il meglio dell’oriente il risultato è sempre magico. Poi, vabbè, l’acidulato di umeboshi: WOW. In genere mi contengo, ma qua ci sta la faccina nipponica: *__*.
AHAHAH! Sì, la faccina nipponica ci sta tutta! L’acidulato è una meraviglia, da prugne cresciute così vicine poi, chi se lo sarebbe mai immaginato? Dario e l’Olmaia sono stati una bella scoperta, non credo avrò mai altro miso al di fuori del loro. Soprattutto considerando il fatto di poter mangiare miso senza necessariamente assumere soia, che ormai, pure se non ce ne accorgiamo, sta ovunque. E’ vero che la soia fermentata non è la soia lavorata in altri modi, quindi la mangio molto a cuor leggero, ma sempre soia è.
Adoro la cucina giapponese e qui a Siena c’è un ristorante molto buono…me lo concederei più spesso se non svuotasse il portafoglio in quel modo…il fatto di non mangiare pesce purtroppo non alleggerisce il conto, sob.