Quest’estate, per tanti motivi diversi, mi ritrovo a tirare un po’ le somme di ciò che è stato e a cercare di capire come proseguire sulla mia strada nel prossimo futuro. Forse anche questo mi ha tenuta lontana dal blog la scorsa settimana e probabilmente farà lo stesso nelle prossime, complici anche il bisogno di un po’ di riposo estivo e una certa allergia galoppante alla tastiera e agli schermi luminosi.
Non ho mai amato le definizioni, il rinchiudermi troppo in una nicchia, in un ideale predefinito, in un’etica che non fosse completamente personale. Questo non vuol dire non schierarsi o non prendere posizione, ma cercare, in maniera del tutto spontanea, di rimanere al di fuori di qualsivoglia etichetta o totale identificazione in qualcosa. Negli anni del liceo ero presente, per quanto le lotte in famiglia me lo permettessero, alle occupazioni a scuola, a mobilitazioni e cortei, ma non mi sono mai sognata di appendere un poster di Che Guevara in camera o di sventolare una bandiera, e quando una volta ho disegnato una A cerchiata sul mio diario, poi un po’ mi sono pentita. Allo stesso modo in seguito mi è capitato di frequentare delle comuni collegate a grandi maestri, ma non mi è mai passato per la testa di diventare discepola di nessuno. Quando poi, per ricordare un episodio recente, sono stata intervistata lo scorso inverno da una rivista interessata a questo blog, e mi è stato chiesto se mi definissi vegana, ho detto appunto di non amare le definizioni, ma sì, la mia cucina è prevalentemente vegan: il risultato è che l’articolo riporta nella prima frase “…si definisce vegana non ossessiva”. Come biasimare la giornalista? Tutti sembrano avere estremo bisogno di definizioni per poterti incasellare da qualche parte. Così sei il tuo lavoro, sei il posto dove vivi, sei quello che cucini, sei le persone che frequenti, sei quello che leggi, sei quello che hai fatto in passato. Ma chi c’è poi, al di là di tutte queste identificazioni?
Mi sto però chiedendo se questa mia allergia alle definizioni sia una dichiarazione d’indipendenza o una mancanza di coraggio. In questo momento il bisogno di definirmi lo sento, per cercare di trovare una strada nell’ingorgo delle mie mille contraddizioni, per cercare di prendere una direzione chiara, sperando che sia quella giusta. Mi sento spesso divisa in due, anche nel mio modo di comunicare: sono tendenzialmente riservata, ma alle volte mi piace condividermi, credo nel cibo come nutrimento, ma mi piace anche mangiare per il puro piacere di farlo, sono prolissa e a volte sintetica, ho molto da dire e poi all’improvviso più niente.
Sono una foodblogger e non sono una foodblogger. Non ricordo chi, nell’about del suo sito, ripeteva come un mantra ogni poche righe “non sono una foodblogger, non sono una foodblogger…”. Ecco, forse farò mio questo mantra. Forse posso iniziare a ridefinirmi da qui. Non sono una foodblogger. Sono una persona a cui piace comunicare, a cui piace trasmettere agli altri ciò che impara ogni giorno, parlare della bellezza e dell’incredibile diversità della natura, della ricchezza infinita di ogni suo frutto, nella speranza che sempre più persone prendano coscienza di quanto questa ricchezza sia vitale e importante, che si rendano conto che anche la scelta del cibo è un atto politico e che al cibo si approccino con sempre maggiore consapevolezza. Mi piace farlo a modo mio, mi piace farlo sapendo che domani cambierò ancora, e che ogni tentativo di definizione, per quanto a volte necessario, rimarrà sempre troppo vago per racchiudere l’unicità di ognuno di noi.
Vi lascio con una ricetta che come è possibile che non l’ho pubblicata fino ad ora? Io che adoro la cucina mediorientale e che vado matta per l’hummus, qualsiasi ne sia l’ingrediente protagonista. Questa è un classicissimo hummus di ceci, una ricetta esotica che ho voluto rendere più locale usando il cece piccino delle Crete Senesi, coltivato a pochi chilometri da qui al Podere Pereto (l’ho usato anche in questa zuppa, vi ricordate?). La dedico a quelle tre bellissime donne che sono Francesca, Laura e Manuela, ai nostri discorsi “da foodblogger” appena accennati, ma subito trasformati in ingredienti per le mie riflessioni, già prepotentemente in corso.
// Hummus di ceci //
°° Ingredienti °°
- 250 grammi di ceci lessati (per me cece piccino delle Crete Senesi)
- 2 cucchiai di tahin (crema di sesamo)
- 2 spicchi d’aglio
- il succo di un limone
- 4-5 cucchiai d’olio
- un pizzico di peperoncino o di paprika o una puntina di pepe rosso di Cayenna
- una manciata di foglie di prezzemolo fresche
- sale
TI capisco e non sai quanto, e forse per questo non riesco a scriverti parole che possano esserti di “aiuto”.
Ti dico solo che ho deciso che questa estate di “riflessioni” finirà con un cammino, ma non metaforico, reale e bello lungo. Non so come arriverò alla fine, l’unica cosa certa è che sarò diversa da ora. Avrò preso una decisione … ancora non so quale delle tante (che già ora il cerchio è molto ristretto rispetto a qualche tempo fa …). Farò tutto questo con calma, senza aspettative e senza formule risolutive.
In ogni caso andrà bene, e questo vale anche per te!
ps: in quel fine settimana romano vi ho pensato e all’idea ero emozionata per voi. Ho un’immagine di un tavolo, quattro donne speciali, bicchieri mezzi vuoti e tanti sorrisi … belle siete!!!
pps: cose futili …. ma quanto sono belle le tue ciotole?!
un abbraccio a te, così come sei!!!
Martina, sono contenta di sentire che, pur essendo nello stesso processo, affermi con certezza che la decisione sarà presa e sarà quella giusta. Te lo auguro e sì, mi auguro che davvero valga anche per me!
Per rispondere al primo ps, l’incontro è stato molto bello, per me totalmente improvvisato all’ultimo momento, quindi ancora più bello! E per rispondere al secondo…sì, sono cose futili, ma sono belle davvero! Le ho da una settimana e ne sto già abusando…meno male che c’è la mamma, altrimenti in queste foto vedresti sempre e solo i piatti marrone opaco di ikea 🙂
Non piacciono neppure a me le “definizioni”, le “classificazioni”. Mi piace l’identità e a modo mio, “l’originalità” delle cose e delle persone: tu lo sei cara Claudia! il tuo angoletto è unico e prezioso di suggerimenti concreti!
Il tuo hummus è il mio hummus! piccola variante (vedi l’originalità!) trito di basilico fresco, invece del prezzemolo! adoro i sapori decisi!!! 🙂
Mari, Grazie per queste belle parole 🙂
Pensa che questa ricetta la seguo da anni, sempre uguale, ce l’ho appuntata su un quadernino blu che non neanche più da quanto è lì. A questo punto dovrò provare la tua versione col basilico, mi è sempre sembrato assurdo metterlo nell’hummus, ma se non sperimento cosa mai potrò saperne?
cara Claudia come condivido le tue parole!! … e quanto sento anch’io l’esigenza di rifuggire dai giudizi dalle etichette dalle frasi fatte e dai luoghi comuni… ma seguire le proprie inclinazioni liberamente .. pur sempre nel rispetto di se stessi e degli altri … tante parole ci sarebbero da aggiungere… ma torniamo al fare … ed era mio proposito fare l’hummus già da un pò di tempo infatti ho acquistato lo stesso cecino di cui parli nella ricetta… mi rimane solo di metterlo a bagno stasera!! grazie … un abbraccio
Anche tu, come me, hai la fortuna di vivere in questo territorio ricchissimo, dove è stato fatto tanto per cercare di preservare ciò che a questo territorio stesso appartiene (anche se non è mai abbastanza, viste le monocolture che vedo spesso intorno a me e le zozzerie che ci spruzzano sopra). Non avevo dubbi che avessi avuto accesso anche tu a questo legume dal nome così tenero, come la sua buccia. L’hummus non potrà non piacerti!
Cara Claudia, ho letto attentamente e per alcune cose mi sono ritrovata, per altre meno.
Io stessa infatti credo di essere una cosa e la sua contraddizione, a volte sono una gran chiacchierona e mi sbottono con un niente, altre odio le chiacchiere vane così tanto per parlare, quel “allora, che mi racconti?” che quando mi viene rivolto rimane senza risposta o che comincia a farmi sudare tanto mi scervello per trovare qualcosa da dire, ma per cosa, poi?? Altre volte preferisco ascoltare in silenzio, altre ancora i miei pensieri volano così veloce che non riesco neanche a prestarci attenzione, alle parole degli altri, tanto che mi si chiede spesso se sto ascoltando. Sto ascoltando sì, ma quello che mi dico io 😉
Così come per il cibo, non riesco a pensare di non avere un cibo coccola, a cui ti aggrappi quando senti di aver bisogno solo di quello e che in effetti ti tira su, anche solo per un attimo, nè al cibo come momento di condivisione, per questo mi sono concessa una pizza in serenità per il compleanno di uno zio qualche giorno fa, interrompendo il periodo di crudo, che è appunto, puro nutrimento, nessun senso di colpa e il cibo sano per antonomasia (anche se, di qualche grassetto non son riuscita a fare a meno, e anche lì si aprirebbero mille parentesi, perchè a quanto pare il crudismo serio non dovrebbe prevedere nemmeno condimenti, ma vabbè, qui si entra in un discorso che non c’entra e che potrei non finire più :D)
Insomma, potrei andare avanti con mille esempi che racconterebbero come nella vita sia rimasta spesso a mezzo, senza prendere posizione.
Finchè non ho trovata qualcosa che ha fatto vibrare le mie corde così tanto che ho capito che sì, quello mi definiva, senza vergogna. Prima l’amore per la cucina, poi la scelta vegan. E nonostante sappia bene che “vegano” vuol dire tutto e nulla, e finisce anche per creare tristi pregiudizi, tanto eterogeneo è questo insieme di persone, credo che serva per definire perlomeno una serie di tratti minimi in comune: non mangiare e non indossare determinate cose, non frequentare un certo di tipo di posti e così via. Poi, che all’interno di queste linee guida siamo ognuno diverso dall’altro, su questo non ci piove, e credo vada sempre ben specificato. Quello che mi dispiace è solo con questa incessante richiesta di etichetta dall’esterno, senza voler approfondire, vengano fuori poi frasi infelici come quella della giornalista, che fa sembrare tutti quelli che seguono al 100% un’alimentazione vegetale “ossessivi” O.o
Purtroppo certi campi vanno avanti con la sinteticità e le parole ad effetto, e non possono permettersi di dilungarsi e spiegare, o annoierebbero.
Per quanto riguarda il “food blogger” GIURO che non ho mai capito cosa crei l’orticaria a molti, nel definirsi tale. O forse non conosco bene io il suo significato.
Non è forse una figura che ha un blog sul web, che parla di cibo e pubblica ricette di quel che cucina? O forse prevede altro di cui io non sono a conoscenza?? 😀
Oh, non so che m’è preso oggi, ma in effetti ti avevo avvertito all’inizio! 😀
Mi spiace di essermi dilungata così tanto ma mi fa piacere quando quel che leggo mi dà motivo di confronto.
Il tuo hummus è come il mio, un classicone che però non mangio da tanto e mi manca un po’ 😉
un abbraccio Claudia!
Peanut, grazie per questa lunga risposta (e di esserti dilungata non hai assolutamente di che scusarti!), il confronto fa gran piacere anche a me! Ti rispondo presto ma con più calma, che ora, per restare in tema di cibo, ho la cena che mi aspetta 🙂
Eccomi, dicevamo…
Capisco quello che dici. Quando ho smesso di mangiare carne e pesce, era il 2004, ho inziato a definirmi vegetariana. Quando poi, qualche anno dopo, ho ridotto anche tutti i derivati animali fino a non mangiarne più, non sono riuscita a definirmi vegana. Negli anni precedenti mi era capitato di frequentare ambienti animalisti, di partecipare a delle iniziative, ma nella maggior parte dei casi quello che ho visto non mi è piaciuto: troppa violenza, troppo giudizio per chi non la pensasse allo stesso modo, troppa intransigenza. A quell’intransigenza sono andata in reazione, scegliendo di non fossilizzarmi in una scelta ma di essere elastica, di concedermi anche delle eccezioni senza sensi di colpa, di non identificarmi in un modo di mangiare o in un modo di pensare. Questo mi ha fatto sentire molto più libera, e così voglio restare. Poi è come dici tu, ci sono molto modi di essere vegan. Per quanto mi riguarda, e questo vale non solo per le scelte alimentari, credo sempre meno nelle scelte che durano tutta una vita, mi rendo conto che siamo come un fiume che scorre, mai uguale a sè stesso, sempre diverso in ogni momento. E avendo io la tendenza ad essere piuttosto ligia alle regole, è bene che non me ne dia troppe, per non rischiare di aggiungere ingombranti e inutili argini a questo fiume e rallentare, quando non bloccare, il suo percorso. Chissà se riesco a farmi capire…
Poi è chiaro, bisogna per forza cercare di definirsi un minimo per chi, dall’esterno e non conoscendoci, cerca di capire chi siamo e cosa facciamo. Ed ecco la questione foodblogger 🙂 E’ chiaro che non posso che rientrare nella “categoria”, che, come dici tu, è fatta semplicemente di persone che gestiscono uno spazio personale sul web in cui pubblicano ricette di cucina. Mia madre direbbe che mi faccio troppe pippe mentali, e magari ha pure ragione, ma in tutto questo post cercavo appunto di sottolineare la forte unicità di ognuno di noi, e, prendo a prestito le parole di Francesca del suo commento poco sotto, per me le ricette sono solo un filo conduttore per cercare di comunicare molto altro (anche se poi non sempre riesco a comunicare efficacemente tutto quello che vorrei). Immagino possa essere lo stesso anche per te, ma magari hai meno avversione verso le definizioni! E magari hai pure ragione a non fartene tanto spaventare. Non so. Tanto è ben evidente dal post che sono in un periodo piuttosto confuso, quindi è lecito concludere questo commento con tanti dubbi ancora aperti, che dici?
Ancora grazie per la tua sincerità e a presto!
P.S: Ti manca l’hummus perchè stai mangiando crudo? L’hai mai provato fatto con i ceci germogliati? Potrebbe essere un’alternativa…io ci ho provato tempo fa, sperimentando un mese crudista, ma, dico la verità, non m’è piaciuto per niente!
Claudia bella, come belle sono le tue parole per ricordare le poche ore passate insieme 🙂 questo non è il mio primo commento, ultimamente faccio macelli con pc… (sarà il caso di berci sopra il mio analcolico preferito, che non nomino per scaramanzia?) Le tue riflessioni solleticano le mie e penso che ‘stare nel mezzo’ significa sono ‘essere nel giusto equilibrio delle cose’ 🙂 proprio come fai tu. E non esiste mancanza di coraggio se quello che fai ti rende felice, se è così questo significa che una serie di scelte importanti sono state fatte 😉 Ti mando un bacio e una domanda: “Ma quando ci rivediamo?”
e poi ma lo sai quanto mi piacciono questi piatti?si secondo me lo sai!;-)
Laura, bella pure tu!
In realtà mi sembra che sia proprio nel trovare il giusto equilibrio che sono carente, ma continuo a perseguirlo, sempre e comunque 🙂
“Ma quando ci vediamo”, buona domanda…sarebbe il caso succedesse al più presto! Incontrarti è stato bello, percepire la tua dolcezza e la luce che hai negli occhi. Come dicevo anche a Manuela, qui nel mio paesino incredibilmente c’è un’area camper. E dicevo sempre a Manuela, per farla tornare, che Roma in autunno è bellissima..ma pure la campagna senese mica scherza! Prossima tappa di un incontro collettivo? Tu basta che ti carichi Francesca 🙂 Se venite ingaggio il mio compagno ex-barman per preparare un bel mo….ehm, dicevo, un bel cocktail per tutti! (analcolico però non mi risulta…forse il tuo commento è saltato troppe volte e alla fine ti sono saltate fuori anche due lettere in più? :-))
Ho sempre pensato che le etichette sono fatte per le persone poco fantasiose, che preferiscono catalogare e non perdere tempo dietro a sfumature e diverse tonalità di colore o di indole… sarà per questo che non le amo e che le rifuggo… con Laura le prime volte che ci vedevamo, un anno fa, parlavamo proprio di quanto ci andasse stretto il termine “foodblogger”, di come io non lo sentissi… sarà che sono anarchica e libera di natura, ma il cibo è solo una delle tante cose di cui parlo nel blog, il filo conduttore, ma non il protagonista assoluto… e lo stesso vale per te e per questo tuo spazio, che è molto “di Claudia”, senza omologazioni… c’è una cifra personale, c’è il tuo modo di raccontare tutto per bene, di non lesinare righe, di approfondire… c’è il tuo mondo (nel) verde, la tua etica del mangiare, le tue idee… e devi fare e scrivere sempre ciò che ti senti, senza preoccuparti di definizioni o nomi fissi… sono così statici e noiosi… 😉
Grazie per la bella dedica, la prossima volta direi di unire aperitivo + tante coppette, mi mettono così allegria!
ps: ieri ho mangiato i ceci neri insieme al riso rosso… in effetti sono più saporiti i ceci “normali”, avevi ragione! 😀
Vedo che ci capiamo 🙂 Riconosco che delle definizioni sono anche necessarie, per chi non entra in contatto diretto con noi, ma è sempre difficile infilarcisi dentro. Forse l’importante è proprio non identificarsi in quelle definizioni, sentirsi sempre liberi di essere quello che si è, che domani può cambiare e ricambiare il giorno dopo. Una persona che conosco diceva “la coerenza è solo dei morti”…come dargli torto? Come non riconoscere che siamo sempre diversi ogni giorno che passa? E non è sempre facile, perchè questo vuol dire anche, a volte, essere costretti a lasciar andare delle “certezze” che possono farci tanto comodo, da tanti punti di vista.
E’ bello sentire come parli di questo spazio, mi riempie di gioia sapere che questo è quello che ti arriva. E per il prossimo aperitivo…ho già detto a Laura poco sopra, vediamo che ne pensi 🙂
P.S: I famosi ceci neri! Ogni palato, come ogni persona, è diverso, bisogna sempre provare l’effetto che fa un nuovo sapore…ma vedo che anche su questo concordiamo in pieno!
Sì, ci capiamo… ma questo lo sapevo già! Ormai è oltre un anno che faccio parte della “blogosfera” (altro termine che mi fa un po’ paura…) e ho capito una cosa: le sintonie non nascono a caso, ci si trova davvero bene solo con persone che magari possono anche essere diverse per alcuni aspetti ma di fondo hanno un “sentire” comune di mentalità e comportamenti…
Io torno super volentieri nella tua zona e rivederci tutte lì sarebbe bellissimo ma posso andare in un b&b e non stare in camper? Ahahaha! 😀
Ahahaha! Giusto, per te niente camper, dimenticavo 😀
Io un divano letto ce l’ho, te lo terrò prenotato!
Anch’io non amo le definizioni, dover scegliere a tutti i costi una
“categoria”: come te ho contrasti anche eccessivi nel mio modo di essere
e dovermi definire a volte mi mette in crisi, mi disorienta.
Parlo
tanto,ma amo la solitudine, adoro l’aria di cultura che si respira in
città, ma non potrei mai viverci e sono una foodblogger, o forse no 🙂
Forse
siamo solo persone con una fortissima esigenza di comunicare e di
confrontarci e questi spazi che abbiamo creato devono solo rimanere una
nostra estensione e cambiare con noi…
Ci sarà ancora modo di
confrontarci, ne sono sicura, intanto mi segno la ricetta dell’hummus,
che con una delle mie pita sarebbe la morte sua!
Manuela, le tue parole potrebbero essere le mie!
Non dirmi che l’hummus non l’hai mai preparato perchè non posso crederci…stai attenta perchè è una specie di droga legalizzata.
E comunque sì, pita+hummus = <3
Un abbraccio!
Oh, caspita oggi è tornato “miracolosamente” il form per commentare!
Non si come mi ritrovo in quello che scrivi… anch’io non amo le definizioni, non mi piace essere classificata, anche perchè spesso le classificazioni portano alle generalizzazioni. Preferisco spiegare il mio personale punto di vista non farmi portavoce di quello altrui.
Anch’io faccio l’hummus proprio come te, sulle spezie vario spesso in funzione di quello che il giardino offre…
Daria, miracolo davvero! Sono contenta di ritrovarti qui.
Riesci molto bene a spiegarlo, questo tuo punto di vista, attraverso il tuo blog, che è molto molto personale, uno spazio davvero unico e ricchissimo.
E a proposito del tuo sito indovina cosa sto preparando in questo preciso istante? La tua portulaca sott’aceto 🙂
Ho apprezzato e adorato ogni tua parola… Questo perché condivido pienamente tutto quello che hai scritto. Mamma quanto posso odiare le etichette, non servono a nulla e non ci identificano perchè ognuno di noi è una persona diversa, con idee diverse, con caratteri diversi e con vite diverse. Ci sarà pure un punto in comune, o forse più di uno, ma catalogarsi in qualcosa, in un nome o in chissà cosa… Mi irrita… Siamo semplicemente il percorso che facciamo ogni giorno, ogni giorno possiamo essere diverse da ieri o da domani… E’ tutto un crescere, mutare e cambiare ogni giorno ed è bello così 🙂
ps. Ma che te lo devo dire che l’hummus è semplicemente spaziale??!!! *__*
Buongiorno, regina delle polpette 🙂
Io apprezzo e adoro ognuna delle tue, di parole. Grazie del tuo contributo…e di apprezzare così tanto il mio hummus! 😀
Claudia, io ho una storia da bambina docile cresciuta insofferente alle regole. Quando mi guardo a stento mi riconosco, inseguo il cambiamento come se fosse la mia linfa vitale. E ora sono chiamata a definirmi, come se fosse un dovere morale, la condizione prima per potere esistere: l’ansia da definizione a volte mi schiaccia. È la barriera di incomunicabilità che sta tra il suono della mia voce che si spegne e il volto interdetto di chi mi osserva mentre non riesco a descrivermi a scoraggiarmi più di ogni altra cosa. Non voglio accettarlo. Non voglio arrendermi. Non voglio accontentarmi di uno spazio vitale mediocre, da dover marcare continuamente e difendere brutalmente. No. Devo definirmi? Bene, solo a patto di stravolgere i linguaggi, infrangere i confini del buon costume, inventare codici nuovi, distruggerne altri. Ho letto in qua e in là di equilibrio: io penso che la cosa difficile sia romperlo. Rompere l’equilibrio, sbilanciarci, ci obbliga a cambiare prospettiva, a superare le paure, ci accresce. Io sono un ammasso di caos. Una specie di accozzaglia di controsensi, un pasticcio ambulante, e per questo amo i dolci, per i quali bisogna essere scrupolosi, umili e concentrati (tutte cose di cui difetto). Devo seguire delle regole? Bene, solo a patto che salti fuori una roba deliziosa e bellissima! Le regole producono strutture, e le strutture sono bellezza (vedi quella meraviglia dei cristalli) però sono abbastanza sicura che le regole giuste sono quelle che dimostriamo empiricamente a noi stessi ogni giorno (sul palato, nella fattispecie), pronte ad essere subito smentite e sostituite da regole nuove. Soprattutto poi, le regole giuste sono quelle funzionali. Come farei a riprodurre certe emozioni a distanza di spazio e di tempo senza regole? Come farei a comunicare pezzi così vividi, puntuali di me stessa? Come sarei sicura di aver fatto atterrare negli altrui palati la storia dei 20/30/40 giorni precedenti, o di ricordi passati, o di speranze future, o di emozioni a ciclo (e la rottura di scatole immane di fare le foto, perché si, anche questo sono: probabilmente l’unica fotografatrice di cibo che a fotografare principalmente si rompe i cabasisi). Ogni dolce che preparo è distillato di emozioni, ricordi, buoni propositi, contemplazione, poesia, manifesto, il ritratto di una persona amata, un tentativo estetico, e il mio continuo tentativo di riappacificazione con le regole. E no, questo non è decisamente foodblogging. (Comunque, se un giorno arrivassi a non mangiare più dolci, sarei proprio curiosa di sapere che razza di persona sono diventata!)
P.S. Claudia, io ti adoro perché sei così unica. Non hai bisogno di definirti, mi sei finita dritta al cuore immediatamente. Anzi, te lo dico proprio: sei il mio blog preferito. E’ come se mi compensassi, mi fai crescere. Cambia quando, come e quanto vuoi, tanto mi fido. E ah, pure questo messaggio è un caos immane, ma temo di non riuscire a fare di meglio in questo periodo.
Haru…ho letto e riletto il tuo fiume di parole, e sembra come se dal caos emergesse quel famoso equilibrio, quello tra l’infrangere le regole e il rispettare le proprie, di regole, che per loro natura mutano con noi in ogni momento. Quell’equilibrio che sta anche nel rompere l’equilibrio stesso. La tua metafora sulla tua passione per i dolci mi sembra perfetta: integrare i nostri pezzi mancanti attraverso la nostra attività creativa. Forse è quello che inconsciamente faccio pure io, che mi dedico a qualcosa che ha bisogno di organizzazione e dedizione quando di organizzazione nella mia vita ne ho davvero troppo poca, e quando spesso la mia dedizione si perde in mille diversivi. O studiare le mille proprietà delle erbe spontanee perché non riesco a dare il giusto valore ai doni che porto dentro di me. Sarà così?
E riguardo al tuo p.s….non ho parole, mi si è sciolto il cuore quando l’ho letto. Davvero, cosa posso dire? Solo grazie, grazie, grazie!!!