Passata di pomodoro fatta in casa

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È un mattino di fine agosto, o forse di inizio settembre. Io dormo ancora, nella sala da pranzo adibita a camera da letto nei mesi estivi per me e mio fratello, con la luce del giorno che filtra debolmente dalle persiane. Nel dormiveglia, avverto trambusto in cucina, la stanza accanto, separata solo da una porta su cui mi pare sempre di vedere, nel gioco di penombra della sala debolmente illuminata, la sagoma del cane lupo del guardaboschi, che mi ha sempre fatto paura. Come gli scorpioni sotto il letto, oggetto di perlustrazione da parte mia e di mio fratello ogni sera, prima di spegnere le luci. Quelli però, a volte, c’erano davvero.

Dalla cucina, oltre a rumori sommessi, il più possibile attutiti per non disturbare il nostro sonno, arriva anche profumo di pomodori. Sono nonna e nonno che preparano la salsa, come ogni anno. Sono già svegli da ore, e gran parte del lavoro è già stato fatto. Forse hanno utilizzato i pomodori del loro orto, forse li avevano presi da coltivatori vicini; non ricordo la raccolta, non ricordo se nella piccola vigna, dove crescevano anche le fragole che amavo tanto raccogliere e mangiare lì sul posto, coltivassero anche i pomodori, prima che venisse espropriata per ampliare la piccola fabbrica di componenti elettroniche. Di certo dalle uve che vendemmiava nonno ha ricavato per anni un vino, che a detta di molti, io ero troppo piccola, aveva un sapore terribile, ma che a lui dava tanta soddisfazione. Coltivavano anche un orto più vicino a casa, ricordo bene la vanga che entrava nella terra per rivoltarla, la zappa che spezzava le zolle e i resti dei nostri pasti sparsi come concime. Vangare era la mia attività preferita, quando accompagnavo nonna nell’orto: riuscire a tirare su quelle zolle con le mie braccine esili mi faceva sentire forte.
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Spesso rimpiango di non avere avuto già da bambina la stessa curiosità che ho adesso riguardo al cibo, alla sua produzione e alla sua trasformazione. Rimpiango di non aver appreso di più da una nonna così radicata nella sua terra e così legata alle sue origini contadine, che forse non era la cuoca migliore del mondo, ma che nell’orto e in cucina passava davvero tanto tempo, durante le lunghe estati molisane. Ho solo vaghi ricordi di come nonna preparava la passata di pomodoro, una memoria sfocata di gesti e profumi; di certo, però, quelle estati hanno lasciato in me un seme, che attendeva solo le condizioni giuste per germogliare.

È la prima volta che preparo la passata, escludendo una bellissima pomodorata collettiva alla Torre anni fa, sul mattonato fuori dalla birreria insieme a tanta bella gente. Ho rimandato davvero troppo a lungo, un po’ per pigrizia, un po’ per mancanza di strumenti, un po’ anche perché la passata diventa d’obbligo soprattutto quando si coltivano i propri pomodori, cosa che al momento non faccio. E un po’, forse soprattutto, perché i miei mi portano ogni estate delle bottiglie di passata fatte in casa da una signora di Venafro davvero speciali, che mi bastano per tutto l’anno. C’è giusto una piccola finestra temporale, due-tre mesi tra la fine dell’ultima bottiglia e la mia discesa a Roma per caricare le nuove scorte insieme all’olio, in cui resto senza, e quest’anno ho deciso di riempirla da me. Il pentolone per sterilizzare l’ho trovato in prestito da amici (insieme a una cassetta di dolcissimi pomodori Nero di Crimea in omaggio), i pomodori da salsa di Marcello e Lucy sono finalmente maturi, e ho una bella scorta di vasetti piccoli di polpa comprata anni fa, scorta di vasetti di cui qualcuno si lamenta sempre, ma che alla fine (lo sapevo!) tornano utili :). Mi ritrovo pure ad avere il passapomodori grande, preso l’anno scorso per un’altra preparazione per cui si è rivelato totalmente superfluo.
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Un tempo preparare la passata in casa era una necessità. Oggi, se vogliamo, potrebbe sembrare un vezzo. L’industria e la grande distribuzione ci rendono disponibile in ogni momento e con poca spesa e fatica tutto quello di cui abbiamo bisogno, tra cui un assortimento infinito di polpa, passata e pomodori pelati, che ci è sufficiente pescare dallo scaffale e mettere nel carrello. Non ho certo bisogno di fare la passata, ma voglio essere in grado di farla. Pochi giorni fa, prima di addormentarmi, leggevo l’introduzione a Cotto, di Michael Pollan (anzi, tentavo di leggere, mentre due diversi, terribili karaoke dal paese vicino si sovrapponevano in una cacofonia di suoni entrando direttamente dalla mia finestra), e, come spesso succede con lui, mi sono trovata d’accordo su tanto di quello che leggevo. Ad esempio sul fatto che sì, la specializzazione e la divisione del lavoro che hanno preso piede dal secondo dopoguerra in poi ci hanno liberati da tante incombenze più o meno quotidiane, di cui altri possono occuparsi al nostro posto mentre noi ci dedichiamo a quello che sappiamo fare meglio, di cui altri ancora potranno approfittare. Nell’ambito della produzione del cibo, questo processo ha reso più facile per le donne l’uscita dalla cucina e dal ruolo di casalinghe, facendo in modo che potessero finalmente dedicarsi anche ad altro (su questo ci sarebbe da fare un discorso a parte: anche tornando ad occuparci della cucina e della casa in modo più consapevole, tornando ad impossessarci dei saperi che col tempo abbiamo perso, è sufficiente una divisione delle mansioni col proprio compagno o compagna per rendere liberi e felici entrambi). Ma alla fine abbiamo perso anche tanto: abbiamo perso il contatto con la materia prima, col nostro cibo, con la fatica che costa produrlo e con il tempo necessario a trasformarlo, e non secondariamente, abbiamo iniziato ad avere a che fare con additivi, edulcoranti, aromi, conservanti, e con tutta una serie di sostanze e di processi che il nostro corpo non conosce e che, come ci dimostrano le nuove malattie del benessere, sembra non apprezzare molto. Cito alcuni passi direttamente da Pollan, che sembra entrarmi perfettamente nella testa:

“Uno dei problemi legati alla divisione del lavoro nella nostra economia complessa è il modo in cui quest’ultima nasconde i collegamenti, e quindi i nessi di responsabilità, tra le nostre azioni quotidiane e le conseguenze che esse producono nel mondo reale. […] recuperare anche solo in parte la produzione e la preparazione del nostro cibo, ha l’effetto salutare di rendere di nuovo visibili molte delle linee di connessione che il supermercato e la sostituzione del pasto preparato in casa hanno efficaciemente messo in ombra. […] In un mondo in cui pochissimi di noi sono ancora obbligati a cucinare, scegliere di farlo significa protestare formalmente contro la specializzazione – contro la totale razionalizzazione della vita, contro l’infiltrazione degli interessi industriali fin nelle pieghe più riposte della nostra esistenza. […] significa dichiarare la nostra indipendenza dalle industrie che cercano di organizzare, così da farne un’ulteriore occasione di consumo, ogni nostro singolo istante di veglia. […] Esercitare regolarmente la semplice capacità di produrre alcune delle cose necessarie per vivere aumenta l’autonomia e la libertà personali, riducendo la dipendenza da industrie remote. Ogni volta che non riusciamo a soddisfare in autonomia uno qualsiasi dei nostri bisogni e dei nostri desideri quotidiani, non è solo il nostro denaro a scorrere verso di loro: c’è anche un flusso di potere. E non appena decidiamo di riassumerci parte della responsabilità sulla nostra alimentazione, quel potere torna a fluire verso di noi.”

È fondamentalmente questo che mi spinge a dedicarmi alla cucina e all’autoproduzione: come mia nonna, non sono certo una grande cuoca, e non credo lo sarò mai, ma voglio saper fare, se non proprio tutto, gran parte di ciò di cui necessita il mio stomaco, il mio corpo, l’ambiente in cui vivo. Senza arrivare ad un totale estremismo in merito e senza flagellarmi se non riesco a mantenere ogni proposito, ché prima di tutto c’è la mia libertà personale (già non mi piace il giudizio altrui, tanto meno il mio su me stessa), mi basta, ogni giorno, fare quello che posso, spingermi un pochino più in là. Recuperare l’arte della passata di pomodoro è uno dei tanti modi per farlo, e dove non arrivo io, sono contenta di potermi affidare all’abile signora venafrana, e a tanti piccoli e medi produttori che ancora hanno rispetto della materia prima che lavorano e trasformano.
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Me la sono presa comoda questo mese: è stato un anno molto ricco, ma faticoso, e quando è arrivato il momento delle ferie, ho sentito un gran bisogno di staccare veramente da tutto e di rilassarmi al massimo. Inaugurare una nuova stagione di GranoSalis con una passata di pomodoro mi sembra davvero un bel modo di ripartire, che ne pensate? Riparto anche con le mie attività nella provincia di Siena: sabato 3 settembre mi trovate a Colle Val d’Elsa, nell’ambito della manifestazione Degusta CollArte, in collaborazione con Ethis e Bottega Roots. Terrò un laboratorio gratuito sulla preparazione degli oleoliti alle 18.30, dopodiché, se ci sarete, avrete tutto il tempo per godervi la cucina di strada dei locali coinvolti (tra cui il mitico Sbarbacipolla) e il concerto dei Matrioska. Chiamate i numeri che vedete nell’evento per prenotare. Dal 10 settembre poi e per 3 settimane inizierò un percorso di 3 incontri con il Museo del Paesaggio di Castelnuovo Berardenga, in cui ci immergeremo nel mondo delle erbe selvatiche sul campo, in cucina e in fitoterapia: a brevissimo troverete più dettagli nella sezione Corsi ed eventi, sempre accessibile dal menù in alto qui sul blog.
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Veniamo alla passata! Devo dire che avevo sottovalutato l’impegno e il tempo necessari a mettere in dispensa i miei vasetti. Quando ho preso la mia cassa di pomodori, 10 chili, non mi sono sembrati poi così tanti. Quindi me la sono presa comoda, mi sono svegliata con calma, ho portato fuori Urano senza troppa fretta, e ho iniziato il lavoro alle 11. Alle 16.30 avevo messo su il pentolone con dentro i vasetti chiusi per la sterilizzazione e avevo pulito la cucina, e ho spento il tutto che erano già quasi le 18. Quindi insomma, anche se non si fanno pomodori per un esercito ci si mette comunque un bel po’, sappiatelo.
Più chili si lavorano, più è necessario avere spazio e recipienti utili: io ho dovuto saltare un passaggio che avrei voluto fare, cioè la filtratura della polpa per eliminare un po’ d’acqua di vegetazione e aumentare la densità, perchè proprio non sapevo come farlo, avevo già impegnate tutte le grosse pentole e ciotole a mia disposizione. Poi, che altro posso dirvi…c’è chi usa il passaverdure classico per passare i pomodori, quello con i dischi e la manovella in alto, ma vi consiglio vivamente di dotarvi di un passapomodoro: se ne trovano di molto economici (manuali, chiaramente), e funzionano davvero bene, soprattutto perchè vi permettono di dividere facilmente polpa e scarto mentre passate, ma anche perchè si fatica molto meno. Altra cosa molto molto utile, quasi indispensabile, è l’imbuto da conserva, della grandezza giusta per i vostri vasi: vi permette di andare spediti con il riempimento senza sporcare il bordo dei vasetti, che potrebbero quindi non chiudersi al meglio compromettendo la formazione del sottovuoto, e senza spargere salsa dappertutto.
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Nel pentolone, alla fine, non sono riuscita a mettere tutti i vasetti, me ne restavano fuori 4. Per quelli ho usato il metodo che uso di solito per la marmellata, ho invasettato la passata ben calda, ho tappato bene e messo a raffreddare a testa in giù su un piano di legno, tutto coperto da un canovaccio. Ho letto in giro di persone che l’hanno sempre fatto con lo stesso risultato, in effetti non ho mai capito bene in cosa si differenzino i due metodi, se qualcuno ha delucidazioni in proposito aspetto commenti.
Ah, ultima cosa: c’è chi aromatizza la salsa con basilico o origano o addirittura cipolla. Per me la passata dev’essere assolutamente al naturale, per adattarsi a qualsiasi preparazione, quindi sconsiglio di aggiungere altri ingredienti, che mica vorrete poi mangiarvi un’arrabbiata al basilico, verooo?!
Con 10 chili di pomodori ho riempito 20 vasetti da 370 ml, quindi piuttosto piccoli; se avete vasi più grandi o bottiglie ve ne serviranno meno.
Scegliete la compagnia giusta (ma anche pomodorare in solitudine ha un suo perché), un po’ di buona musica e buon lavoro!

// Passata di pomodoro fatta in casa //

°° Ingredienti °°

  • 10 chili di pomodori da salsa
  • una giornata libera
Passata di pomodoro fatta in casa 1Avrete bisogno di: pentole e ciotole capienti, passapomodoro (quello fatto apposta per la passata è meglio, come ho scritto nell’introduzione alla ricetta), vasetti o bottiglie con coperchi nuovi o in ottimo stato, pentolone formato esercito per sterilizzare i vasi alla fine. Per prima cosa lavate e sterilizzate i vasetti e lavate e asciugate bene i tappi, il mio metodo l’ho spiegato in questo post. Teneteli da parte coperti da un canovaccio asciutto e pulito.
Passata di pomodoro fatta in casa 1Lavate i pomodori e metteteli in una o più pentole tagliati a quarti. Accendete il fuoco e lasciate appassire i pomodori girando spesso per pochi minuti con un cucchiaio di legno, giusto il tempo di ammorbidirli e di vedere che la buccia si stacca facilmente. Passateli col passapomodoro raccogliendo gli scarti per poi ripassarli nuovamente. A seconda della vostra dotazione “tecnica” dovrete ripetere più volte questi passaggi, fino a ottenere le vostre belle ciotolone di polpa. Se ne avete la possibilità, filtrate la polpa foderando un grosso colino o uno scolapasta con un canovaccio, per eliminare un po’ di liquido.
Passata di pomodoro fatta in casa 1Rimettete la polpa ottenuta in pentola e fatela cuocere a fuoco basso per 10-15 minuti dal bollore, in modo da farla addensare un po’. Invasettatela ben calda e tappate subito i vasetti tenendoli con un canovaccio per non scottarvi. Foderate il fondo e i lati della pentola per sterilizzare con dei canovacci, poi sistemate i vasetti cercando di far passare delle pieghe di tessuto tra uno e l’altro. Se necessario fate due piani, sempre con cavovacci in mezzo. Vi segnalo anche questo metodo geniale che ho scovato su Dissapore: non avevo troppa voglia di fare pezzettini di tessuto e legarli, ma mi sembra davvero niente male rispetto all’ammasso di stracci.
Passata di pomodoro fatta in casa 1Riempite il pentolone d’acqua fino a coprire completamente i vasi. Accendete il fuoco e portate a bollore, poi lasciate bollire 30 minuti. Spegnete e lasciate raffreddare l’intera notte. Il mattino dopo tirate fuori i vasetti dalla pentola e verificate che si sia creato correttamente il sottovuoto, altrimenti richiudete bene e ribollite i vasetti. Quando usate la passata, per sicurezza cuocetela per almeno 8 minuti, e conservate il vasetto aperto per 3-4 giorni in frigorifero.
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14 commenti su “Passata di pomodoro fatta in casa”

  1. Arrivo volentieri a darti il mio bentornato. Leggerti da sotto un ombrellone,mentre mi arriva il profumo di sale nelle narici forse cambia un po’ l’emozione, ma non di molto. Concordo su tanto di quello che hai scritto,lo sai. Anch’io cerco di non demonizzare o estremizzare,ma negli anni ci sono riti come quello della salsa-che han cementato bene le loro radici in famiglia e che non ho intenzione di perdere. Ho un compito importante,insegnare ai miei figli i sapori,spiegare la differenza tra comprato e autoprodotto,poi starà a loro scegliere:)
    Insomma,buon inizio d’anno!

    1. E io ricevo più che volentieri il tuo commento, il primo dopo una lunga pausa, proprio perché so quanto siamo in sintonia su queste tematiche. Hai un bel compito, sì; sono certa che, a prescindere dalle loro scelte future, i tuoi figli ti saranno grati per quel tempo passato insieme in cucina.
      Grazie per l’augurio, non posso che ricambiare, per ora, con un “buon fine estate!”, visto che mi scrivi da sotto l’ombrellone…un po’ d’invidia ce l’ho eh, sappilo!

  2. Il prox anno se avrai tempo e voglia ti presento Carmelina la simpaticissima produttrice venafrana e potrai fare con lei la nostra passata. Magari imparerai qualche segreto ! Ma devi essere pronta a stare da lei per le 6 del mattino e fare incontri con una piccola schiera di cani e gatti !

    1. Agli incontri con schiere di cani e gatti sono sempre pronta! Ecco, alle 6 del mattino un po’ meno, ma quando ne vale la pena trovo sempre la forza di alzarmi 🙂

  3. Claudia che bei ricordi mi hai riportato alla memoria! Anche io mi rivedo a zappare la vigna con la mia zappetta a misura di bambino, la stessa che probabilmente poi sarà stata passata a te! E le fragole mangiate appena colte. Ma tornavi anche tu a casa con il sedere rosso per le scivolate fatte dalla collinetta al pozzo? Io però non ho mai controllato se sotto al letto ci fossero scorpioni! 🙂

    1. Me ne ricordo di scivolate, ma quelle dalla collinetta al pozzo no…ma tu invece ricordi se c’erano i pomodori da salsa nell’orto? Abbiamo usato quella zappa in anni diversi, ma vedo che ci siamo rimaste parecchio affezionate tutte e due 🙂

      1. Che mi ricordi io i pomodori li comprava da qualche contadina. I pomodori erano di nostra produzione quando ero piccola io.

  4. Rina di iorio

    Ciao ciao complimenti pet questo raconto ! Ci si rivede ! E commovente poi lo faccio leggere a mamma quando torno . Sei veramente brava a trascrivere le emozioni … Grazie baci a bien tout Rina

  5. Finalmente! Bentornata….. spero ben riposata e si riparte a cucinare. Ma lo sai che ho ancora dei pomodori nel mio orto che pian piano si sta trasformando in orto autunnale /invernale, e i tuoi consigli mi sono proprio utili, come sempre del resto. la passata di pomodoro o salsa come si chiama da queste parti e’ anche per me un bellissimo ricordo della mia infanzia in campagna quando si faceva la “pummarola ” tutti insieme…nonni, zii, cugini ed altri. Grazie per averlo ricordato. Buon fine Estate a te e a voi tutte

    1. Ciao Donatella, grazie mille per il bentornata e l’entusiasmo 🙂 I miei pomodori ancora non li ho, ma finalmente sto cercando di rimediare, nel mio piccolo…per ora inizio ad allenarmi con cavoli, insalate e cime di rapa, sarò prontissima per i trapianti la prossima primavera! Almeno spero 🙂 Buona fine estate a te!

  6. Non perché tu sei la mia nipotina ma penso che al contrario tu potresti insegnare dei segreti alla produttrice venefrana concordo quanto riportato sulla tua ricetta.
    Ricordo la salsa di pomodori che mia nonna e mia zia facevano a Filignano. Al contrario loro non facevano bollire le bottiglie ma le mettevano nel grande forno a legna precedentemente riscaldato e le tiravano fuori dopo raffreddamento delle stesse, diciamo il giorno successivo. Avevano un lungo bastone tipo manico di scopa con un grande anello all’estremità per recuperare le bottiglie una alla volta.
    Ricordi indelebili ❤❤❤
    Un abbraccio

    1. Zietta, grazie <3. Soprattutto per aver condiviso questo ricordo, non solo bello per ragioni di sentimento, ma anche per memoria agricola e contadina.
      Grazie ancora, ti abbraccio tanto anche io!!

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